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Il progetto ORCHESTRA, coordinato dall’Università di Verona e finanziato con fondi europei del programma Horizon 2020, pubblica sulla prestigiosa rivista “eClinical Medicine” i risultati di uno studio di coorte che ha seguito per 12 mesi 1.800 pazienti per comprendere le cause e le manifestazioni cliniche della sindrome cosiddetta “long COVID”. Lo studio, utilizzando tecniche di analisi statistica molto avanzate quali l’analisi fattoriale e il machine learning, propone una nuova definizione di long COVID, basata sull’associazione dei sintomi e sull’impatto sulla qualità della vita dei pazienti a 12 mesi dalla infezione acuta.  

La sindrome long-COVID è una complessa condizione clinica i cui meccanismi patogenetici non sono ancora del tutto conosciuti e che si stima abbia colpito 65 milioni di pazienti in tutto il mondo. La definizione utilizzata fino ad oggi è quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che si basa sulla nuova comparsa di sintomi a distanza di circa tre mesi da un’infezione acuta da SARS-CoV-2, che possono essere persistenti, fluttuanti o recidivanti, e che non possono essere spiegati con una diagnosi alterativa. Ad oggi sono stati descritti più di 200 sintomi attribuibili al long COVID, i più comuni dei quali risultano essere l’astenia, i dolori muscoloscheletrici, i deficit della concentrazione e della memoria a breve termine e i disturbi respiratori, inclusi affanno e tosse persistente. La natura aspecifica della sintomatologia e delle sue modalità di presentazione non ne rende possibile una caratterizzazione puntuale né il suo corretto inquadramento diagnostico. Da ciò deriva una limitazione sostanziale della possibilità di condurre studi con lo scopo di migliorare la gestione clinica dei pazienti con long COVID e sviluppare nuovi farmaci.  

Nel progetto ORCHESTRA è stato svolto uno studio prospettico multicentrico, condotto dal febbraio 2020 al giugno 2022, in cui sono stati arruolati pazienti affetti da SARS-CoV-2, sia ambulatoriali che ricoverati, seguiti con visite cliniche e prelievi di laboratorio a 3, 6 e 12 mesi dalla diagnosi. Sono state valutate le caratteristiche cliniche e biochimiche, la risposta degli anticorpi, le varianti virali di interesse e la qualità della vita fisica e mentale dei pazienti. L’obiettivo principale è stato identificare i fattori di rischio e protettivi per l’insorgenza della sindrome long COVID in base alle caratteristiche del paziente e delle comorbidità, alla gravità della malattia COVID, al trattamento e allo stato di vaccinazione.  

I risultati dello studio mettono in luce nuove evidenze che permettono di affermare che la sindrome long COVID può essere classificata in base alla combinazione di sintomi, con un diverso impatto sulla qualità della vita fisica e mentale e differenti meccanismi patogenetici, come dimostrato dall’analisi dei fattori di rischio e di protezione associati a ciascun quadro clinico e alla sindrome long COVID grave.  

Questi risultati possono contribuire alla progettazione di studi sulla patogenesi e alla selezione di pazienti ad alto rischio per includerli in studi clinici di nuovi farmaci per la cura del long COVID. Inoltre, potrebbero supportare campagne di sensibilizzazione e orientare le politiche sanitarie per il controllo del COVID.  

Dei 1796 pazienti arruolati, 1030 hanno riportato almeno un sintomo riconducibile alla sindrome long COVID dopo 12 mesi. Le malattie cardiovascolari sono state le condizioni cliniche sottostanti più frequentemente riportate.

Sono stati indentificati quattro quadri clinici differenti: la sindrome da affaticamento cronico, la sindrome respiratoria, la sindrome del dolore cronico e la sindrome neurosensoriale.  
Le donne hanno un rischio aumentato di dolore e fatica cronica e sintomi neurologici; i pazienti con condizioni respiratorie preesistenti hanno un rischio aumentato di peggioramento dei sintomi respiratori già presenti; i sintomi all’esordio del COVID possono essere un segnale precoce di futuro long COVID: i sintomi neurologici aumentano il rischio non solo di long COVID neurologico ma anche di sintomi respiratori e di astenia cronica, mentre i disturbi gastrointestinali si associano a fatica cronica.  

Il sesso femminile, i sintomi gastrointestinali e complicazioni renali durante l’infezione acuta aumentano il rischio di sindrome long COVID grave.

La riduzione più significativa della qualità della vita fisica e mentale è stata osservata nei pazienti con sintomi respiratori e sindrome del dolore cronico rispetto ai controlli negativi.

Tra i fattori protettivi aver ricevuto terapia steroidea durante la fase acuta della malattia ridurrebbe il rischio di persistenza di disturbi neurosensoriali, quali le alterazioni del gusto e dell’olfatto, mentre la terapia precoce con anticorpi monoclonali nei pazienti con altre comorbidità limiterebbe tutte le manifestazioni di long COVID.
La Prof. Evelina Tacconelli, coordinatore del progetto sottolinea che i risultati hanno permesso l’identificazione di un long COVID grave che, a 12 mesi dalla infezione da SARS-CoV-2 vede la persistenza di sintomi respiratori associati ad astenia e dolore cronico. Come dimostrato da questionari specifici, la qualità di vita di questi pazienti è devastata. Le donne purtroppo hanno un rischio 3 volte maggiore degli uomini di long COVID grave. Essere stati vaccinati riduce il rischio di affaticamento e dolore cronico e di long COVID grave. 
Il Rettore dell’Università di Verona Prof. Pierfrancesco Nocini sottolinea che “il progetto ORCHESTRA dimostra come la ricerca clinica sia essenziale per il miglioramento delle diagnosi e terapie dei pazienti con long COVID. La pandemia ci ha permesso di dimostrare ancora più chiaramente il ruolo centrale della ricerca e delle Università in tutte le situazioni in cui una patologia è ancora ignota e in fase di definizione”.
La Dr.ssa Elisa Gentilotti, tra i principali autori dello studio, conclude che “l’individuazione precoce dei pazienti a rischio di sviluppare forme gravi di long COVID può facilitare e supportare lo sviluppo di nuovi farmaci efficaci”. 

Il progetto ORCHESTRA, coordinato dalla professoressa Tacconelli e dal suo team dell’Università di Verona, è finanziato dal programma HORIZON 2020, iniziativa europea di ricerca e innovazione, ed è iniziato a dicembre 2020 con l’obiettivo di comprendere diversi aspetti clinici della pandemia da SARS-CoV-2. Partecipano a questo progetto 37 partner da 15 Paesi, che insieme hanno istituito un’infrastruttura di analisi con standard comuni. Tra i principali obiettivi, l’identificazione di predittori clinici e di laboratorio per ridurre ospedalizzazione e gravità di COVID-19 e prevenire il long COVID.