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Si è svolto il convegno dal titolo “Long-COVID e malattie neurologiche: analisi degli effetti a lungo termine e strategie di intervento”, organizzato da RIN – rete IRCCS delle Neuroscienze e della Neuroriabilitazione, con il patrocinio di SIN, in collaborazione con il Centro Studi Americani, che ha ospitato i lavori a Roma, ed Edra S.p.A.

A distanza di oltre quattro anni dall’inizio della pandemia, appare evidente che per un rilevante numero di persone colpite da COVID-19 segni e sintomi causati dall’infezione possono persistere osvilupparsi anche dopo la risoluzione della fase acuta, precludendo il pieno ritorno al precedente stato di salute. Questa condizione è stata riconosciuta come una entità clinica specifica, denominata appuntoLong-COVID.

Su tali premesse il Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie del Ministero della Salute ha individuato l’Istituto Superiore di Sanità come capofila dello studio “Analisi e strategie di risposta agli effetti a lungo termine dell’infezione COVID-19: bilanci e prospettive”.

Il progetto, messo in pista nel dicembre 2021, è coordinato dal Prof. Graziano Onder coinvolge tra gli enti anche RIN – rete IRCCS delle Neuroscienze e della Neuroriabilitazione. Quest’ultima ha approfondito gli effetti a lungo termine del Long-COVID nell’ambito delle malattie neurologiche, portando gli studi e le testimonianze di numerosi esperti di primissimo piano, come la Professoressa Roberta Ghidoni, Direttore Scientifico dell’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia, il Professor Carlo Caltagirone, Direttore Scientifico dell’IRCCS Santa Lucia di Roma, e il Professor Luigi Frati, Direttore Scientifico dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli.

Durante il convegno, che è stato articolato in due sessioni tecniche e una tavola rotonda con i decisori politici, è stata presentata una visione del Long-COVID di ampio respiro, iniziando dal tema degli effetti del contagio a livello neurologicosino all’importanza di considerare l’interazione tra uomo, ambiente e mondo animale per comprendere, prevenire e gestire le pandemie. Si è discusso anche dellanecessità di riorganizzare i sistemi sanitari e sociali per affrontare le future sfide pandemiche. Il convegno ha rappresentato un passo importante verso una migliore comprensione delle complesse interazioni tra Covid-19 e salute neurologica, stimolando una collaborazione integrata tra diversi settori scientifici e sanitari per migliorare la risposta globale alle pandemie.

Nel caso specifico, il Long-COVID rappresenta una sfida significativa per la sanità pubblica, che richiede interventi mirati con un approccio multidisciplinare. È infatti importante incrementare le conoscenze e uniformare il trattamento del Long-COVID, assicurare coesione tra tutti gli stakeholder, raccogliere le esperienze territoriali e promuovere l’utilizzo di linguaggi e strumenti comuni nella risposta al problema.

“Questo convegnonasce per focalizzare l’attenzione sulle manifestazioni neurologiche successive all’infezione da SARS-CoV-2. – ha detto il Professor Raffaele Lodi, presidente RIN e Direttore Scientifico dell’IRCCS ISN di Bologna – Ci siamo concentrati su due aspetti: gli effetti neurologici provocati dall’infezione, sia in fase acuta che nella fase successiva alla guarigione con particolare riferimento alle manifestazioni neurologiche legate soprattutto a disfunzioni cognitive e disturbi psichiatrici. L’altro aspetto importante che abbiamo approfondito è l’effetto dell’infezione da Covid-19 su malattie neurologiche preesistenti e croniche, come quelle autoimmuni e neurodegenerative. Infine, lanciando uno sguardo al futuro con il possibile effetto del Covid-19 sullo sviluppo di malattie neurodegenerative, potenzialmente anticipando il loro esordio in soggetti predisposti”.

“È sempre importante studiare e avere delle risposte. Oggi ci concentriamo sugli effetti neurologici del Covid, ma chiaramente non sono gli unici aspetti rilevanti. Dal punto di vista dell’approccio One Health diventa fondamentale considerare le pandemie come il risultato di una serie di fattori, tra cui l’ambiente e l’interazione con il mondo animale e vegetale. Dobbiamo sempre avere una visione integrata di come l’uomo interagisce con i diversi ambiti economici e sociali”. Queste le parole di Giovanni Leonardi, Capo del Dipartimento della salute umana, della salute animale e dell’ecosistema e dei rapporti internazionali del Ministero della Salute e ad interim Capo dipartimento della prevenzione, della ricerca e delle emergenze sanitarie del Ministero della Salute, in apertura dei lavori.

“L’approccio One Health – ha proseguito Leonardi – implica un’interazione non solo a livello sanitario, ma anche con altri settori. Questo include l’istruzione e i ruoli sociali, che devono lavorare insieme per implementare questa metodologia. Il convegno di oggi si inserisce in quest’ottica, indicando che le cause del Long-COVID sono molteplici e devono essere affrontate con un approccio interdisciplinare”.

Il Professor Alessandro Padovani, Presidente SIN, durante il suo intervento, dal titolo “Le manifestazioni neurologiche dell’infezione COVID-19 e gli effetti funzionali a lungo termine”, ha sottolineato come“il sistema nervoso centrale e periferico è stato al centro delle attenzioni fin dall’inizio della pandemia. In fase acuta abbiamo osservato un aumento di encefalopatie e patologie cerebrovascolari. Nel lungo termine diverse manifestazioni si sono presentate, alcune strettamente correlate alla gravità del Covid, altre meno. Tra i dati più interessanti ci sono le manifestazioni neurologiche occorse indipendentemente dalla gravità dell’infezione, in tempi successivi al Covid. Una delle ipotesi è la riattivazione di virus latenti o una reazione immunomediata, supportata dalla presenza di anticorpi anti Epstein-Barr e dall’aumento di cloni anticorpali autoimmuni”.

Il Professor LucianoOnder ha contestualizzato le tematiche trattate nel convegno all’interno del progetto “madre” “Analisi e strategie di risposta agli effetti a lungo termine dell’infezione COVID-19: bilanci e prospettive”. “Il progetto ha riunito numerosi attori che lavorano sul tema del Long-Covid, oltre all’Istituto Superiore di Sanità, le reti degli IRCCS, le università e tanti altri professionisti del settore. Grazie al loro lavoro abbiamo raggiunto tre macro obiettivi: valutare l’impatto del Long-Covid sul consumo di risorse a lungo termine, evidenziando il raddoppio del numero di ospedalizzazioni, delle prestazioni diagnostiche e delle visite; definire buone pratiche su come gestire e organizzare un centro che si occupa di Long-Covid; e sviluppare un sistema di sorveglianza che ha seguito nel tempo oltre 1.900 pazienti afferenti ai centri non-Covid”.

Il professore della Cattolica ha sottolineato inoltre anche che il progetto “rappresenta una fonte importante di informazioni per ulteriori ricerche e per comprendere meglio il fenomeno Long-Covid. Lagrande quantità di dati ha anche permesso di informare la popolazione tramite il sito dell’Istituto Superiore di Sanità e di formare gli operatori sanitari. Abbiamo svolto una formazione a distanza che ha coinvolto oltre 14.000 operatori sanitari su tutto il territorio nazionale. Quindi, un progetto che ha avuto un impatto significativo sulla sanità pubblica, la ricerca e la formazione, aggiungendo molto sul tema del non-Covid”.

Nella parte finale dell’evento, durante la tavola rotonda con i decisori politici,è stato chiesto cosa si sta facendo sul fronte della prevenzione e come ci si possa preparare ad una nuova pandemia.

Per la Senatrice Beatrice Lorenzin, membro della V Commissione Bilancio, il convegno è l’occasione per presentare i “dati innovativi sugli effetti del Long Covid, evidenziando due aspetti principali. Il Primo è cheil Covid ha avuto un impatto significativo sulla salute neurologica e psichiatrica della popolazione, con effetti osservabili a lungo termine. I dati raccolti indicano la necessità di strutturarsi per gestire e supportare le persone colpite dal virus. Il Secondo è che l’esperienza del Covid hamostrato come sia indispensabile prepararci a future pandemie, non come eventualità, ma come certezza. È fondamentale continuare a investire in strutture di prevenzione territoriale in grado di rispondere rapidamente a nuovi virus. Non possiamo tornare agli schemi pre-pandemia, ma dobbiamo adottare strategie globali e locali, in linea con le direttive dell’OMS, per affrontare le sfide future, inclusi i cambiamenti climatici. Educare e formare il personale sanitario, e la popolazione, è essenziale per prepararsi ai nuovi scenari”.

La Deputata Vanessa Cattoi, membro della V Commissione Bilancio, si è soffermata sull’importanza di investire in prevenzione: “Per una giusta programmazione sanitaria e una giusta politica sanitaria dobbiamo partire dai dati dati del tavolo di monitoraggio della spesa sanitaria nazionale anche in relazione ai LEA. Attualmente la spesa sanitaria è così suddivisa: 5% per la prevenzione, 51% per la spesa distrettuale e 44% per la spesa ospedaliera. Penso che deve essere obiettivo di tutti incrementare le risorse dedicate esclusivamente alla prevenzione perché è la prima arma per arginare nuove e possibili pandemie.

“Inoltre – ha aggiunto Cattoi – è cruciale che a livello europeo la spesa sanitaria sia vista come un investimento e non un costo. È giunto il momento che l’Europa, che in passato ha imposto tagli lineari, riconosca l’importanza degli investimenti sia nel know-how sia in specifiche specialità mediche, e che conceda, soprattutto, più autonomia. Solo così si potranno veramente avere più margini di manovra per investire in prevenzione, ribadisco, l’elemento centrale della sanità pubblica.

Il Senatore Guido Liris, medico igienista e membro della V Commissione Bilancio, le fa eco, affermando: “Ben vengano progetti come questo, portati avanti dai nostri IRCCS, fiore all’occhiello dell’Italia. L’analisi dei dati è cruciale sia per comprendere gli esiti a medio e lungo termine dei virus, sia per sviluppare nuove strategie di prevenzione. La pandemia ha dimostrato come è indispensabile l’integrazione ospedale-territorio, per affrontare le nuove sfide del nostro Ssn, come ad esempio nuove zoonosi, che metteranno a dura prova i sistemi sanitari”.

“Bisogna riorientare la sanità verso la prevenzione territoriale. Per questo i dipartimenti di prevenzione, spesso trascurati in favore di cure assistenziali, devono riacquistare un ruolo centrale, utilizzando l’epidemiologia e la statistica per mantenere una rete sanitaria efficace ed efficiente – ha proseguito Liris – Inoltre, i medici di medicina generale devono spostare l’attenzione dalla medicina preventiva a quella predittiva, soprattutto nelle aree più vulnerabili. Solo un sistema sanitario organizzato e tecnologicamente preparato può dare una pronta ed efficace risposta a future pandemie.Purtroppo durante la pandemia di Covid-19, la prontezza di risposta è stata limitata dalla simultaneità del contagio globale, che ha impedito l’aiuto reciproco, soprattutto sulle forniture e dispositivi medici.Questo però deve essere per noi un monito: è fondamentale che l’Europa sviluppi una capacità autonoma di produzione e distribuzione di molecole e dispositivi medici, per evitare la totale dipendenza da altri Paesi, in caso di nuove pandemie”, ha concluso.

Le stime della proporzione di persone che sviluppano il Long-COVID dopo l’infezione acuta sono molto variabili, oscillando da meno del 10%, al 20%–25% riportato dal Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie degli Stati Uniti, a oltre il 50% riportato in una grande meta analisi. Più di recente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che circa il 10%–20% dei pazienti COVID-19 sperimentano sintomi persistenti dopo un’infezione acuta da SARS-CoV-2. Sebbene sia stato riportato che sia la vaccinazione contro SARS-CoV-2 sia la variante Omicron sono associate a una ridotta incidenza della condizione, dato il numero di centinaia di milioni di casi di COVID-19 in tutto il mondo, le proiezioni evidenziano che un alto numero di pazienti soffrirà di manifestazioni di Long-COVID con un impatto significativo sui servizi sanitari.

Il Long-COVID può colpire diversi sistemi, tra cui quello cardiovascolare, polmonare, della coagulazione ed ematologico, renale, gastrointestinale, muscoloscheletrico, così come, ovviamente, quello neurologico e psichiatrico, con significativi impatti su morbilità e mortalità. Tuttavia, la patologia rimane in gran parte sconosciuta, le conoscenze sugli strumenti migliori per la sua valutazione e diagnosi sono ancora incomplete e i trattamenti sono principalmente sintomatici. Inoltre, le risposte organizzative al problema in Italia variano notevolmente a livello regionale e manca una rete nazionale di sorveglianza e informazione dedicata.