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L’81% dei genitori di bambini o ragazzi con disabilità dichiara di aver acquistato prestazioni sanitarie private per i propri figli nell’ultimoanno. Un rispondente su due ha vissuto una esperienza di discriminazione sul luogo di lavoro, con il 17% che ha dichiarato “moltissime volte”.Per il 77% delle famiglie intervistate in cui non è presente un figlio con disabilità, la presenza di bambini con disabilità condiziona positivamente le attività scolastiche.

Sono questi alcuni dei risultati emersi dall’indagine di Fondazione Paideia e BVA Doxa sull’impatto della disabilità sul sistema familiare, condotta attraverso 988 famiglie italiane con bambini e ragazzi fino a 18 anni di età, di cui un terzo con disabilità. L’indagine, ove possibile, ha posto quindi a confronto le evidenze provenienti dai due campioni: famiglie in cui è presente o famiglie in cui non è presente un bambino o ragazzo con disabilità.

La rilevazione, in particolare, si è concentrata su alcuni ambiti di interesse emersi in seguito a focus group che hanno coinvolto operatori sociali, professionisti sanitari e familiari di bambini con disabilità: rete e percezione di aiuto, scuola, servizi socio-sanitari, informazioni, tempo libero, lavoro, futuro dei figli.

Alla domanda “Quanto si sente supportato da nonni, amici o altre persone nella gestione delle Sue attività pratiche quotidiane?” il 63% dei rispondenti che hanno figli con disabilità dichiara di sentirsi “molto” o “abbastanza” supportato, con valori simili che vengono rilevati per la parte di famiglie in cui non è presente un minore con disabilità. Rispetto alla risposta “molto”, i padri di bambini o ragazzi con disabilità si sentono più supportati delle madri, le quali invece dichiarano nel 17% dei casi “per nulla” contro il 2% dei padri. La percezione di supporto, inoltre, risulta più forte a Sud e isole, con il 75% di genitori di bambini con disabilità che dichiarano di essere “molto” o “abbastanza” supportati rispetto al 59% del Nord Ovest.

Per il 77% delle famiglie italiane in cui non è presente un figlio con disabilità, la presenza di bambini con disabilità condiziona positivamente le attività scolastiche, perché favorisce nuove forme di apprendimento o migliora il clima in classe. Per il 14% la presenza di bambini con disabilità non condiziona in alcun modo le attività scolastiche, mentre secondo il 9% delle famiglie che non hanno figli con disabilità condiziona negativamente le attività perché rende faticoso il clima in classe o rallenta la didattica, una voce che si ferma al 2% per quanto riguarda il Nord Ovest e che raggiunge l’11% per Sud e isole.Per quasi 1 genitore su 3 di bambini con disabilità la scuola aiuta “poco” o “per nulla” il figlio a sviluppare una maggiore autonomia, mentre il 26% dei genitori di bambini con disabilità ritiene che la scuola aiuti “poco” o “per nulla” nella socializzazione.

L’81% degli intervistati che hanno figli con disabilità ha dichiarato di aver acquistato prestazioni sanitarie private per i propri figli nell’ultimo anno, mentre il dato che riguarda le famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità si ferma al 60%. Di questi ultimi, il 41% ha dichiarato di aver speso meno di 500 euro nell’ultimo anno, il 4% tra i 1.000 e i 2.000 euro e soltanto il 2% ha dichiarato una spesa superiore a 2.000 euro. Tra i genitori di bambini con disabilità, invece, il 27% ha dichiarato di aver speso oltre 2.000 euro nell’ultimo anno per l’acquisto di prestazioni sanitarie private per i propri figli e il 14% tra i 1.000 e i 2.000 euro.

Una parte dell’indagine si è concentrata sulla facilità di reperimento delle informazioni in merito a servizi socio-sanitari, scuola, tempo libero e diritti come genitori. La voce più negativa riguarda la facilità di reperimento di informazioni sulle risorse del territorio e l’impiego del tempo libero: per il 59% dei rispondenti che hanno figli con disabilità la facilità è “poca” o “nulla”, rispetto al 35% delle famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità.

Alla domanda “Quanto spesso riuscite a dedicarvi un’occasione di svago e tempo libero come adulti, senza bambini?”, il 36% delle famiglie con bambini con disabilità dichiara “mai”, contro il 24% delle famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità. Oltre ai quesiti relativi al tempo libero, è stata formulata una specifica domanda relativa alle occasioni di “vacanza”. Le famiglie che dichiarano di godere di occasioni di vacanza “una volta l’anno” risultano il 57% di quelle in cui sono presenti bambini con disabilità rispetto al 62% di quelle in cui non sono presenti. Risulta identica la percentuale di rispondenti che dichiara di non usufruire “mai” di occasioni di vacanza come famiglia, il 9% di entrambi i campioni. Dato che arriva al 27% per quanto riguarda i genitori di bambini con disabilità con reddito fino a 1.500 euro.

Il 64% delle madri di bambini o ragazzi con disabilità ha dichiarato di aver chiesto la riduzione dell’orario di lavoro da quando è diventato genitore, rispetto al 42% delle madri che non hanno figli con disabilità. Divergente anche il confronto tra i padri: il 38% di chi ha un figlio con disabilità ha richiesto una riduzione di orario rispetto al 19% dei padri di figli che non hanno una disabilità.Il 34% dei genitori di bambini con disabilità intervistati ha dichiarato che l’essere genitore “ha condizionato moltissimo” i possibili avanzamenti di carriera, con un picco che riguarda le madri rispetto ai padri, a confronto con il 17% riferito alle famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità. Un rispondente su due del campione di genitori di figli con disabilità ha vissuto una esperienza di discriminazione sul luogo di lavoro, con il 17% che ha dichiarato “moltissime volte”. Anche in questo caso il dato che riguarda le madri di figli con disabilità che hanno dichiarato di essersi sentite discriminate “moltissime volte” è superiore a quello dei padri. Quali sono i motivi per cui i rispondenti non lavorano o non hanno mai lavorato? Il 25% delle madri di figli che non hanno una disabilità dichiara che “il carico familiare non mi permette di avere tempo per un lavoro”, dato che raggiunge il 44% se si prende in considerazione il campione riferito alle madri di bambini con disabilità.

Una sezione finale dell’indagine è stata dedicata al tema della preoccupazione per il futuro dei figli. Il 61% delle famiglie in cui è presente un figlio minorenne con disabilità si dichiara “molto” preoccupata, rispetto al 38% delle famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità. In particolare le madri di bambini o ragazzi con disabilità si dichiarano “molto” preoccupate nel 70% dei casi o “abbastanza” preoccupate nel 25% dei casi, rispetto al 38% e 50% dei padri. Le preoccupazioni maggiori riguardano, per 1 famiglia su 2 che ha un bambino o ragazzo con disabilità, la “capacità dei figli di sopravvivere ai genitori, anche quando questi non ci saranno più”. A seguire, tra i genitori di figli con disabilità, la voce riferita alla “salute”, “relazioni amicali e sentimentali”, “lavoro”, “indipendenza economica dai genitori” e, in ultima posizione, i “fattori esterni” che si attestano al 4% rispetto al 13% percepito dalle famiglie in cui non sono presenti figli con disabilità.

“Abbiamo scelto di promuovere questa indagine – commenta Fabrizio Serra, Segretario Generale della Fondazione Paideia – per allargare la visione e il dibattito oggi esistente sulla disabilità infantile e portare alla luce l’impatto che la nascita di un bambino o una bambina con disabilità genera su tutto il sistema familiare. Siamo partiti dal vissuto dei genitori, mettendo a confronto le esperienze e i bisogni delle famiglie con bambini con disabilità con il resto delle famiglie italiane, per capire i punti di contatto, quelli di maggiore difficoltà e gli ambiti più importanti su cui intervenire.Quello che emerge è un quadro complesso, in cui l’impatto della disabilità è diffuso e trasversale. Particolarmente critici i dati che riguardano il mondo del lavoro, dove le madri in primis e, in misura minore, i padri di bambini e ragazzi con disabilità raccontano condizionamenti di carriera e discriminazione in misura maggiore rispetto al resto della popolazione, un dato che è necessario portare all’attenzione delle imprese per costruire politiche di inclusione e responsabilità sociale davvero efficaci. Importante anche, sul versante economico, il dato che riguarda la spesa per prestazioni sanitarie private, alle quali dichiara di fare ricorso l’81% delle famiglie con bambini con disabilità, spendendo oltre 2.000 euro l’anno nel 27% dei casi. Un fattore che, sommato ad altri aumenta il rischio di impoverimento che la disabilità porta con sé e il divario rispetto alle altre famiglie. 

Pesano anche le preoccupazioni rispetto al futuro dei propri figli, ma se per i genitori che non hanno bambini con disabilità riguardano soprattutto il lavoro, la salute e l’indipendenza economica dei figli, per le famiglie che hanno bambini o ragazzi con disabilità il timore più grande è il “dopo di noi”, ovvero la capacità dei figli di sopravvivere ai genitori quando questi non ci saranno più. È fondamentale lavorare fin da subito su questo tema, per costruire tutti insieme esperienze e percorsi di autonomia che possano aiutarci a scrivere un futuro diverso per le persone con disabilità e le loro famiglie. Questa indagine è un punto di partenza, quindi, che ci auguriamo possa aprire degli spazi di riflessione su alcune questioni che troppo spesso vengono relegate ai margini, ma che sono fondamentali per costruire una società più inclusiva e migliorare le condizioni di vita delle famiglie dei bambini e ragazzi con disabilità.”

“Nell’analizzare l’indagine – commenta la sociologa Chiara Saraceno – dobbiamo prima di tutto considerare la complessità del sistema familiare, fatto di dinamiche diverse: la famiglia non è un tutto omogeneo, ma è una microsocietà fatta da persone diverse con dinamiche, interessi e rischi diversi rispetto alla disabilità di un familiare a seconda che questo sia un figlio/a, fratello/sorella, partner, genitore.

Tra queste differenze contano anche quelle di genere. Il peso della cura quotidiana ricade spesso sulle donne, in particolare, nel caso la disabilità riguardi un figlio/a, sulle sole madri, che non riescono neppure ad immaginare di poter aver diritto ad un tempo per sé. Molte madri interpretano la rete di aiuto esclusivamente come supporto per fronteggiare la disabilità e non anche per avere tempo per sé, per qualcosa di proprio. Sicuramente colpisce il punto legato alla scuola e alla preparazione degli insegnanti di sostegno: forse dovremmo andare verso l’idea che tutti gli insegnanti dovrebbero essere preparati alla varietà dei bambini che hanno davanti. Una varietà che riguarda anche il tipo di difficoltà che possono sperimentare a livello scolastico. Possono avere disabilità, una origine migratoria recente, essere in condizioni familiari disagiate, o con altre difficoltà. Non si può pensare di delegare ogni singolo problema a uno specialista, moltiplicando le etichette categoriali. Sono questioni che dovrebbero entrare a far parte della formazione di ogni insegnante, a partire dalla consapevolezza che l’insegnamento non è pura trasmissione di conoscenze, ma innanzitutto sollecitazione delle capacità e desiderio di apprendimento, valorizzando e stimolando le capacità di ciascuno. Un altro punto che emerge dalla ricerca riguarda l’idea che madri e padri hanno rispetto al futuro: accompagnare i genitori al ‘dopo di noi’ vuol dire anche accompagnarli all’idea che i loro figli potrebbero avere legami affettivi importanti al di fuori di loro. Il dato relativo all’acquisto di prestazioni private, invece, racconta di un sistema sanitario non in grado di sopportare la quantità di domanda esistente, che ricade sulla responsabilità diretta dei padri e delle madri di bambini o ragazzi con disabilità, sovraccaricandole, ma anche accentuando le diseguaglianze sociali. Oltre che sostenute dal punto di vista economico, inoltre, le famiglie andrebbero accompagnate nella valutazione di quali attività sanitarie o di riabilitazione valga la pena di intraprendere oppure no, a prescindere dal fatto che se lo possano permettere o meno”. 

“Siamo orgogliosi di aver contribuito alla realizzazione di un’indagine così importante e significativa – commenta Valeria Reda, Senior Research Manager di BVA Doxa.La collaborazione con Fondazione Paideia è stata puntuale e costante in tutte le fasi dell’attività, permettendoci di condividerela mission dell’organizzazione e sostenere gli obiettivi specifici della ricerca,ed offrendo alla nostra società, benefit corporate dal giugno 2022, una ulteriore occasione per rinnovare la propria storica tradizione di ricerca a servizio delle organizzazioni non-profit.”