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Sono oltre 400mila le donne incinte ogni anno in Italia. Di queste, circa 100mila si sottopongono all’amniocentesi perché hanno superato i 35 anni o perché sono state rilevate alterazioni nel feto. Ma come sono rilevate tali alterazioni? Fino a poco tempo fa, le donne si sottoponevano ai test biochimici per l’individuazione del rischio per la trisomia 13, la trisomia 18 e la trisomia 21. Il limite di questi test è il 5% di falsi positivi. Questo significa che almeno nel 5% dei casi tali test obbligano le gestanti, senza un reale motivo, a sottoporsi ad amniocentesi, un test supplementare invasivo e che oltretutto ha un costo importante per il SSN. 

Negli ultimi anni, però, sono stati introdotti in Italia i NIPT, Non Invasive Prenatal Test, screening che permettono di analizzare campioni di DNA fetale nel sangue materno a partire dal primo trimestre di gravidanza e scoprire così se il feto è affetto dalle principali alterazioni cromosomiche o no, con tassi di rilevamento del 99,7%, 98,2% e 99% per le trisomie 21, 18 e 13 rispettivamente, con risultati falsi positivi nello 0,04%, 0,05% e 0,04% dei campioni: valori decisamente più affidabili rispetto ai test di screening basati sulle analisi biochimiche e che quindi riducono drasticamente il ricorso a indagini diagnostiche invasive e magari non necessarie. Questo tipo di test è gravato da costi elevati che spesso ne impediscono l’applicazione sulla popolazione generale come test di prima istanza. Oggi il NIPT è considerato il golden standard nello screening delle principali aneuploidie e ha rivoluzionato la diagnosi prenatale del DNA del primo trimestre, per velocità di esecuzione, accuratezza e costi.

Tra i test prenatali non invasivi c’è Vanadis, un prodotto svedese acquistato dalla società Revvity, una screening company attiva principalmente nei settori della diagnostica e della strumentazione Life Science. Vanadis ha un grande vantaggio rispetto agli altri NIPT e cioè un livello di automazione molto elevato, in grado di gestire fino a 20.000 campioni l’anno con un unico tecnico di laboratorio, assicurando quindi una velocità senza pari, ma anche una grande accuratezza, perché questo sistema è in grado di conteggiare, in media, 650.000 molecole per cromosoma, assicurando così un’elevata precisione. Grazie all’elevata automazione del processo, inoltre, Vanadis assicura anche una grande economicità. I sistemi attualmente esistenti, infatti, sono molto più costosi e senza automazione, necessaria per ragionare in termini di screening, e le regioni che li hanno adottati devono necessariamente fare scelte selettive sulla popolazione da testare.

Il sistema Vanadis non solo consente di rilevare le alterazioni cromosomiche più importanti, ma permette l’interpretazione genetica globale del paziente. “È importante avere accesso all’informazione familiare, che da sola vale oltre il 30% del processo di screening. Dall’albero genealogico, cioè, già posso capire se c’è un problema che circola in famiglia o meno”,spiega il Professore Ordinario di Genetica Medica Giuseppe Novelli del Policlinico di Tor Vergata, centro di eccellenza per la diagnosi prenatale dove si utilizza il dispositivo di ultima generazione Vanadis. 

Una rivoluzione tecnologica che avviene in un momento propizio: dopo 6 anni, infatti, è arrivato il via libera al decreto tariffe, che rende applicabili i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza, ovvero le prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale gratuitamente o con il pagamento di un ticket, per assicurare le stesse nuove prestazioni a tutti i cittadini, superando dunque le diseguaglianze tra le Regioni. Tra i nuovi LEA – che saranno applicati a partire dal 2024 e che prevedono 2108 prestazioni, contro le 1702 della versione precedente – anche lo “screening esteso prenatale”.

“Tutti segnali che indicano un’opportunità da cogliere e cioè adottare uno screening massivo su tutta la popolazione femminile incinta, riducendo enormemente il numero di falsi positivi ed eventuali amniocentesi”, conclude il professore Giuseppe Novelli.