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E’ in calo negli ultimi 30 anni la mortalità per tumore al polmone in Italia non solo tra gli uomini, come ampiamente documentato, ma anche tra le donne. Lo afferma uno studio condotto da Istituto Superiore di Sanità, Istituto Nazionale di Statistica, Registro Tumori dell’Emilia-Romagna e Università di Padova pubblicato dall’”International Journal of Cancer”.

Lo studio, utilizzando la banca dati Istat di mortalità per gli ultimi 30 anni, analizza l’andamento della mortalità per tumore al polmone utilizzando l’analisi per coorte di nascita come asse temporale principale e valutandone anche la diversa evoluzione a livello provinciale. Dall’analisi si conferma il declino generalizzato della mortalità negli uomini, a partire dal picco osservato nella generazione dei nati nel decennio 1920-1929. Nelle donne invece si osserva un picco nella coorte delle nate nel decennio 1955-1964, con un ritardo di circa 35 anni rispetto agli uomini, a cui fa seguito una decrescita. Questi andamenti sono stati dimostrati per la prima volta grazie all’analisi per coorte di nascita e non sarebbero apprezzabili seguendo l’usuale approccio di periodo.

In Italia, come in altri paesi europei, maschi e femmine si trovano quindi in fasi diverse dell’epidemia di cancro al polmone, legate alle variazioni dei comportamenti e degli stili di vita. Dallo studio è emerso anche un forte differenziale geografico. Per le coorti più anziane nel paese si osserva un gradiente di mortalità nord-sud, con le regioni settentrionali a rischio maggiore, che è stato sostituito nelle coorti più giovani da un gradiente est-ovest, con le regioni occidentali a mortalità più elevata. Nelle coorti più giovani, Napoli è la provincia a più alta mortalità in Italia, sia tra gli uomini ma soprattutto tra le donne. Questo andamento è coerente con una maggiore prevalenza dei fattori di rischio, soprattutto l’abitudine al fumo, per il tumore al polmone nelle popolazioni residenti nel sud-ovest del Paese.

“Questo cambiamento – sottolineano gli autori – pone due problemi. Il primo, relativo alla disponibilità di terapie adeguate, è che il rischio massimo di mortalità osservato in quelle aree geografiche si correla ad una sopravvivenza netta a 5 anni standardizzata per età più bassa che nel resto del Paese. Il secondo problema è che la progettazione delle campagne di prevenzione e disassuefazione dal fumo deve essere riconsiderata, per determinare se esse debbano essere adattate a una popolazione a rischio in evoluzione”.