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E’ un format unico in Europa esclusivamente dedicato ai ricercatori under 40 nel campo delle neuroscienze: l’età più proficua per contribuire al progresso delle scoperte. Si tratta di BraYn, il congresso che si tiene a Napoli tra il 27 e il 29 settembre presso l’Aula Magna del CESTEV e che quest’anno ha raggiunto la 6ª edizione.  

“La ricerca nelle neuroscienze ha compiuto progressi eccezionali, negli ultimi 15 anni – spiega Giovanni Ferrara, ricercatore presso l’Experimental Neurosciences lab dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, e principale promotore del format di BraYn -. Grazie alle tecniche di optogenetica, per esempio, è possibile controllare l’attività di specifici neuroni, stimolandoli o inibendoli; ciò ha portato alla scoperta di circuiti che gestiscono comportamenti anche complessi come l’appetito. La sempre maggiore interazione fra macchina e uomo, aiutata dai progressi nell’ambito dell’AI Intelligenza Artificiale, ha portato, inoltre, alla genesi di impianti e tecnologie capaci sia di trasformare stimoli sensoriali in messaggi neuronali, sia di generare risposte motorie inviando stimoli nervosi. Questo ha avuto un enorme impatto sulla qualità della vita delle persone con diverse disabilità sensoriali e motorie, dagli impianti cocleari alle più recenti protesi che hanno permesso ad un paziente paralizzato di riprendere un’attività autonoma. Infine, la macro-connettomica promette di regalare una vera e propria svolta nella comprensione del cervello, mettendo in risalto l’interazione tra le aree dell’organo dalle quali sappiamo, con sempre maggior certezza, dipendere le funzioni superiori”.   

3 le aree del congresso: ricerca di base, ricerca applicata e ricerca clinica, con la partecipazione di due ‘giganti’ internazionali delle Neuroscienze.  

La prima è Michal Schwartz, Professor of Neuroimmunology Weizmann Institute of Science in Israele – una pioniera nell’orizzonte della Neuroimmunologia, la scienza che studia il ruolo del sistema immunitario nel benessere e nella riparazione del cervello e, di conseguenza, nel contrastare l’insorgenza di un ampio spettro di malattie neurologiche e di processi neurodegenerativi. Sebbene, infatti, l’attenzione della neuroimmunologia originariamente si concentrasse su malattie dalla chiara componente infiammatoria, come la sclerosi multipla, con il tempo è apparso sempre più evidente che i deficit del sistema immunitario hanno un ruolo anche nello sviluppo di disordini genetici neurologici, epilessia, malattie neurodegenerative e neuropsichiatriche oltre ad influire sui processi di invecchiamento del cervello. 

“Il cervello si affida al sistema immunitario per la sua manutenzione e riparazione lungo tutto l’arco della vita – spiega Schwartz -. Il malfunzionamento del sistema immunitario può influire negativamente a tutte le età. In particolare, l’invecchiamento del sistema immunitario emerge come un fattore cruciale nell’invecchiamento del cervello. Non è la causa primaria della malattia di Alzheimer o di altre forme di demenza ma agisce come catalizzatore per la progressione della malattia. Indipendentemente dalla causa primaria, l’elemento comune che contribuisce al declino cognitivo è l’infiammazione neurologica locale del cervello”. Il ripristino della capacità del sistema immunitario di assistere il cervello è stato dimostrato dal team della Professoressa Schwartz come una potente strategia nel combattere la malattia di Alzheimer e le condizioni correlate. Guardando al futuro “le nostre ricerche indicano che le cellule del sistema immunitario detengono la chiave per aiutare il cervello a sconfiggere la malattia di Alzheimer e altre condizioni cerebrali, riducendo contemporaneamente molteplici patologie associate alla malattia”. 

Altro ospite di eccezione è Richard Morris, uno dei più noti neuroscienziati britannici e direttore del Centre for Cognitive and Neural Systems di Edimburgo. Il suo campo di studio è, dice, “la neurobiologia dell’apprendimento e della memoria e l’applicazione di concetti e tecniche di questo lavoro fondamentale per sviluppare nuove terapie mirate ai disturbi cognitivi associati alla malattia di Alzheimer”.    

Queste e molte altre tematiche saranno trattate durante BraYn, a Napoli dal 27 al 29 settembre a partire dalle ore 11 di mercoledì 27. L’evento ha rapidamente raccolto un network di oltre 400 ricercatori europei. Un successo che dimostra l’efficacia di un format dedicato ai giovani ricercatori ma anche la fertilità del tessuto scientifico italiano che dispone di molti talenti e laboratori. “Se da una parte, infatti, la percentuale del PIL spesa in ricerca è ancora troppo bassa e molti ricercatori vivono in stato di precarietà, dall’altro la loro preparazione e capacità fanno sì che gli italiani siano secondi solo ai tedeschi nell’aggiudicarsi i bandi europei per il finanziamento della ricerca, come ad esempio quelli dell’European Research Council, l’organismo dell’Unione europea che finanzia i ricercatori di eccellenza di qualsiasi età e nazionalità che intendono svolgere attività di ricerca di frontiera negli Stati membri dell’UE o nei Paesi associati”aggiunge Margherita Romeo, altra organizzatrice di BraYn e ricercatrice presso il Dipartimento di Ricerca Biochimica e Farmacologia molecolare, dell’istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano. Sempre più forte è, inoltre, il ruolo delle aziende private quali partner dei ricercatori.

Ma l’attenzione riservata a BraYn dai diversi portatori di interesse dimostra anche la crescente importanza sociale delle neuroscienze di fronte alla crescita epidemiologica delle malattie neurodegenerative: in Italia, infatti, secondo le stime dell’Istituto Superiore di Sanità vi sono circa 1 milione di persone affette da demenza e circa 900mila affette da una condizione a rischio definita come Mild Cognitive Impairment – MCI. Demenze e ischemie cerebrali sono, già ora, tra le prime 10 cause di invalidità. In Europa si stima che la demenza di Alzheimer rappresenti il 54% di tutte le demenze con una prevalenza nella popolazione over 65 del 4,4%. In Italia la prevalenza per tutte le demenze è abbastanza in linea con quella osservata in Europa, quella per DA è circa la metà. Secondo i dati del Ministero della Salute, ogni anno si registrano nel nostro Paese circa 90.000 ricoveri dovuti all’ictus cerebrale, di cui il 20% sono recidive. Il 20-30% delle persone colpite da ictus cerebrale muore entro un mese dall’evento e il 40-50% entro il primo anno. Solo il 25% dei pazienti sopravvissuti ad un ictus guarisce completamente, il 75% sopravvive con una qualche forma di disabilità, e di questi la metà è portatore di un deficit così grave da perdere l’autosufficienza. Il morbo di Parkinson, infine, colpisce circa il 3 per mille della popolazione generale e circa l’1% di quella sopra i 65 anni. Si calcola che in Italia ci siano circa 600 mila persone colpite e, tra loro, aumentano quelle appartenenti a fasce d’età giovani.   

“Lo scopo degli incontri a BraYn – conclude Ferrara – è stimolare lo scambio di conoscenze, intuizioni e spunti tra i ricercatori, puntando alla nascita di nuovi progetti di ricerca che sfruttino, tra le altre cose, anche la crescente interscambiabilità delle informazioni e delle scoperte scientifiche rese possibili dalla digitalizzazione dei dati. Oggigiorno, infatti, le evidenze ottenute da una ricerca sui processi cellulari o di attivazione genica possono divenire parte integrante di un’altra ricerca, molto più spesso di quanto avvenisse in passato”.