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Sono stati presentati nel corso di un convegno promosso dalla Fondazione Don Gnocchi al Centro Congresso Auditorium Aurelia, dal titolo “La Tecnologia e la Robotica in Riabilitazione”, i risultati finali di uno studio scientifico multicentrico, che ha misurato l’efficacia dell’utilizzo della tecnologia robotica nella riabilitazione dell’arto superiore nello stroke.
Si tratta di una ricerca senza precedenti a livello mondiale in questo settore, per numero di pazienti coinvolti, che mette a confronto i dati raccolti da pazienti trattati con le nuove tecnologie, con quelli raccolti dai pazienti trattati secondo le terapie tradizionali: su 501 pazienti “eleggibili”, sono stati infatti 251 quelli sottoposti a trattamenti di riabilitazione robotica e monitorati, a cui vanno aggiunti altri 33 pazienti, con le medesime caratteristiche, ma trattati in maniera tradizionale in strutture non dotate di tecnologia robotica, sottoposti agli stessi test valutativi degli altri pazienti e quindi inseriti nella ricerca.
I risultati dimostrano che la riabilitazione robotica è efficace nel recupero dell’arto superiore dopo ictus e per alcuni aspetti, come i movimenti di presa della mano, di flessione dell’avambraccio sul braccio e di abduzione della spalla, è più efficace della riabilitazione convenzionale riuscendo a raggiungere prima nel tempo, obiettivi di recupero motorio.
Alcuni casi clinici che hanno continuato a fare riabilitazione robotica e che sono stati monitorati nel tempo, hanno recuperato in modo importante e significativo anche dopo più di un anno dall’ictus: pazienti per i quali prima si immaginava non fosse possibile un ulteriore recupero, hanno una speranza, se trattati senza sospensioni, di recuperare ad esempio in maniera significativa l’uso della mano, in azioni comuni come afferrare una bottiglia, bere sa soli…
«Siamo di fronte a un rivoluzione della riabilitazione, in cui l’attività dell’uomo può essere supportata e mediata dalla robotica e dalla tecnologia – ha commentato Irene Aprile, medico neurologo e coordinatrice del Gruppo di Riabilitazione Robotica e Tecnologica di Fondazione -. Questo cambiamento sta portando a delineare una nuova figura di fisioterapista, come esperto in riabilitazione robotico-tecnologica, ed impone una riflessione da parte delle istituzioni e delle aziende produttrici: con l’aiuto infatti delle evidenze della letteratura, le prime dovranno riconoscere adeguatamente dal punto di vista economico i trattamenti riabilitativi robotici , mentre il compito le seconde dovranno abbassare i costi di strumenti che devono avere la più ampia diffusione possibile per permettere al maggior numero di pazienti di essere trattati con i sistemi tecnologici e robotici, facendo quindi una riabilitazione avanzata.
«Questo processo vede però un terzo protagonista: si tratta delle strutture come la Fondazione Don Gnocchi, e quindi i centri clinici e di ricerca nei quali i ricercatori dovranno misurare oggettivamente i risultati del percorso riabilitativo, con l’aiuto dei robot, proponendo nel contempo modelli organizzativi di riabilitazione robotica economicamente sostenibili».
Da più di un anno, in nove Centri della Fondazione Don Gnocchi in Italia sono utilizzati questi sistemi robotici che integrano e supportano il lavoro dei terapisti nella riabilitazione dell’arto superiore di pazienti colpiti da ictus o altre patologie neurologiche, con un’azione specifica sui movimenti di mano, polso, gomito e spalla.
Gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico di Milano e Firenze, le due strutture di Roma, ma anche altri Centri come Rovato (Brescia), La Spezia, Fivizzano (Massa) e altri del meridione d’Italia, solitamente penalizzati dal punto di vista delle prestazioni sanitarie, come S. Angelo dei Lombardi (Avellino) e Acerenza (Potenza): queste solo le strutture della Fondazione dove sono state attrezzate le palestre robotiche e dove la migliore tecnologia oggi disponibile si sposa alla professionalità e all’esperienza di operatori esperti e formati.
A collaborare alla raccolta dei dati dello studio multicentrico presentato durante il convegno di Roma sono intervenute anche le strutture della Fondazione Don Gnocchi di Marina di Massa e Tricarico (Matera), che hanno fornito i dati sui pazienti trattati con le metodologie tradizionali.