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Un gruppo di lavoro multidisciplinare composto da 22 esperti, tra cui la professoressa Federica Agosta dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e Università Vita-Salute San Raffaele, di 11 società scientifiche europee ha unito le forze per definire le raccomandazioni per un uso efficace dei biomarcatori nella diagnosi della malattia di Alzheimer. 

Mettere il paziente al centro delle considerazioni diagnostiche dei medici, piuttosto che la malattia o l’esame diagnostico, rappresenta una svolta rispetto agli approcci attuali. 

Il consenso, appena pubblicato su “Lancet Neurology”, è stato coordinato da un’équipe degli Ospedali Universitari di Ginevra, dell’Università di Ginevra e del Centro Nazionale di Ricerca sulla Malattia di Alzheimer Fatebenefratelli di Brescia. 

Esperti di 11 società e organizzazioni scientifiche europee e un’associazione dei pazienti hanno collaborato per definire un percorso diagnostico basato sul profilo dei sintomi manifestati da ogni singolo paziente,per identificare correttamente il soggetto affetto da malattia di Alzheimer e distinguerla da altre malattie neurodegenerative. L’algoritmo è facilmente implementabile nei centri clinici per il decadimento cognitivo e fornisce una diagnosi altamente affidabile. 

Il percorso diagnostico è stato sviluppato sulla base della letteratura scientifica e dell’esperienza pratica degli specialisti. Dopo aver esaminato i disturbi del paziente e aver effettuato test cognitivi e una risonanza magnetica cerebrale, lo specialista può utilizzare queste raccomandazioni per: classificare il caso partendo da 11 possibili combinazioni di manifestazioni cliniche; testare i biomarcatori adeguati utilizzando i test raccomandati dagli esperti internazionali: puntura lombare, PET amiloide, PET fluorodesossiglucosio, DAT-SCAN, SPECT MIBG e PET tau.

L’obiettivo del percorso diagnostico è quello di superare gli attuali limiti delle raccomandazioni e delle linee guida relative alla diagnosi della malattia di Alzheimer. Queste si concentrano principalmente sulla malattia stessa o sui biomarcatori, piuttosto che sulla persona interessata. 

Sebbene le linee guida precedenti siano state sviluppate per aiutare i medici a utilizzare i test diagnostici corretti, presentano delle lacune quando vengono applicate nella pratica clinica. 

La maggior parte di queste raccomandazioni infatti non tiene conto delle numerose opzioni diagnostiche disponibili e dell’esistenza di diversi test che possono essere eseguiti contemporaneamente o in sequenza. 

Inoltre, quelle che lo fanno spesso riflettono solo l’opinione di gruppi di esperti non rappresentativi. 

Di conseguenza, nella pratica clinica, la scelta del biomarcatore è spesso influenzata più da considerazioni organizzative e logistiche che da fattori clinici. 

“Per raggiungere questo consenso, noi specialisti siamo stati chiamati a valutare e confrontare l’efficacia di un esame rispetto a un altro in varie situazioni cliniche, utilizzando l’approccio partecipativo Delphi. 

La discussione ha visto la partecipazione di professionisti con diverso expertise e le raccomandazioni sono state scritte solo dopo aver raggiunto almeno il 70% del consenso tra noi – afferma la professoressa Federica Agosta, responsabile dell’Unità di ricerca Neuroimaging delle malattie neurodegenerative dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e associata di Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele –.

Queste linee guida rappresentano un passo fondamentale verso una diagnosi più precisa e personalizzata della malattia di Alzheimer, che non solo migliorerà la qualità delle cure, ma permetterà anche una gestione più efficiente delle risorse sanitarie. 

È un cambiamento di prospettiva che potrebbe fare la differenza nella vita di milioni di persone colpite da questa malattia debilitante, anche in considerazione del possibile prossimo arrivo di farmaci disease-modifying”. 

L’unione delle competenze e dell’esperienza dei più importanti specialisti del panorama internazionale ha permesso di stabilire uno standard di riferimento che sarà utile a tutti i medici in Europa. 

Per quanto riguarda lo studio, il prossimo passo sarà quello di incorporare i biomarcatori ematici nell’albero decisionale. Attualmente sono disponibili solo a scopo di ricerca e sono in fase di approvazione per l’uso clinico. In futuro, potrebbero consentire di evitare fino al 70% degli esami invasivi come la puntura lombare e la PET, contribuendo così a ridurre i costi e ad ampliare la diagnosi nella popolazione generale.

La malattia di Alzheimer è una condizione neurologica progressiva che colpisce le funzioni cerebrali, in particolare quelle cognitive inclusa la memoria. 

A livello patologico, è caratterizzata dall’accumulo di strutture proteiche anormali nel cervello, chiamate placche di beta-amiloide e grovigli di tau. In Italia circa 1 milione di persone è affetta da malattia di Alzheimer.

Dall’anno scorso è attivo all’IRCCS Ospedale San Raffaele CARD, il nuovo Centro per la prevenzione, la diagnosi e la cura della malattia di Alzheimer, diretto dal professor Massimo Filippi, primario dell’Unità di Neurologia, del servizio di Neurofisiologia e dell’Unità di Neuroriabilitazione dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e ordinario di Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele. 

L’obiettivo è la presa in carico del paziente a 360°, mediante: la valutazione dei fattori di rischio clinici, comportamentali ed ambientali; la formulazione di una diagnosi accurata e precoce; il trattamento con terapie innovative e monitoraggio della progressione della malattia.

Attualmente non esiste una cura definitiva per la malattia di Alzheimer, ma sono disponibili diversi trattamenti per aiutare a gestire i sintomi e rallentarne la progressione. Afferma il professor Massimo Filippi: “Dal 2021 sono stati approvati in USA e sono in fase di approvazione in Europa diversi anticorpi anti-amiloide per il trattamento della malattia. Gli anticorpi hanno dimostrato di essere efficaci nel: rimuovere l’amiloide cerebrale; rallentare la progressione dei sintomi cognitivi in maniera significativa. 

Inoltre, il nostro Centro è in prima linea nella ricerca di nuove terapie. Stiamo infatti conducendo diversi protocolli clinici dedicati alla sperimentazione di altri farmaci disease-modifying, tra cui gli oligonucleotidi anti-tau, con l’obiettivo di avanzare nella lotta contro questa malattia”.