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Il declino cognitivo nel paziente anziano si affronta in team. La parola d’ordine per l’Azienda di Servizi alla Persona Golgi-Redaelli, istituto di eccellenza per il trattamento delle persone con demenza in malattia di Alzheimer, è infatti multidisciplinarietà, termine che, insieme a multimodalità, si concretizza nel progetto Me.Mo.Ri., presentato questa mattina nella sede di via Bartolomeo D’Alviano a Milano.

Al momento non ci sono farmaci efficaci nelle prime fasi del declino cognitivo, ma crescenti evidenze scientifiche dimostrano che un approccio innovativo, multidisciplinare e multimodale può contribuire a contrastare questa condizione. Per questo al Golgi Redaelli diverse figure professionali lavorano al progetto, unico nel suo genere in Italia e attivato in fase sperimentale all’interno del Day Hospital riabilitativo. Ne fanno parte il Medico con formazione psicogeriatrica, la Neuropsicologa e la Logoterapista per valutazioni e training cognitivo, il Fisioterapista e il Terapista Occupazionale, la Psicologa e la Dietista. L’approccio multimodale, inoltre, fa sì che all’intervento cognitivo è affiancato anche un trattamento motorio, basato su attività prevalenti di tipo aerobico e su esercizi cognitivo-motori, e un intervento nutrizionale con incontri di formazione e di educazione.

Numerosi aspetti messi in luce dal Piano Nazionale Demenze – che proprio in questi giorni compie 5 anni – quali la prevenzione, la definizione di interventi precoci, la presa in carico tempestiva, la continuità assistenziale e un corretto approccio alla persona e alla sua famiglia, ancora non trovano una reale risposta. Le fasi iniziali del declino cognitivo, spesso non riconosciute, incoraggiano ad intervenire e ad affrontare quella che è una reale emergenza: sono oltre un milione le persone affette da demenza nel nostro Paese, con costi sociali ed economici molto elevati per le famiglie e il Sistema Sanitario Nazionale. Si stima che un numero altrettanto numeroso di persone anziane sia affetto da MCI con una prevalenza, a livello mondiale, che si attesta al 10-25% nei pazienti tra i 65 e 85 anni e arriva al 35% nei pazienti over-85. Si tratta di un fattore di rischio per lo sviluppo di demenza, seppure non tutti i pazienti con MCI evolvano verso una patologia conclamata e alcuni si mantengano per anni in una situazione di stabilità, suggerendo che vi sia ancora spazio per un intervento.
Il progetto Me.Mo.Ri. si inserisce in questo contesto critico e, partendo da una valutazione neuropsicologica mirata e precoce, si propone di favorire la reversione o quantomeno la stabilizzazione del declino cognitivo attraverso un programma di interventi di gruppo e individuali basati su training cognitivo, esercizio fisico e interventi nutrizionali articolati, in una prima fase intensiva, a cui segue un percorso di mantenimento e follow-up. Promuovere il mantenimento dell’autonomia, preservare la qualità della vita e sostenere la persona e la sua famiglia lungo tutto il percorso completa l’offerta del progetto che prevede una presa in carico reale.
Responsabili del progetto sono il dottor Andrea Mazzone, Geriatra, la dottoressa Vanessa Binetti, Neuropsicologa e la Logopedista Elisa Meneghini, presenti in conferenza stampa per presentarne i dettagli, insieme al Direttore Generale del Golgi Redaelli, dottor Enzo Lucchini, e all’assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera.
“Il progetto è rivolto principalmente a persone con Mild Cognitive Impariment – spiega il dottor Mazzone – ma abbiamo previsto percorsi specifici anche per i pazienti con demenza in malattia di Alzheimer di grado lieve e per i soggetti che riportano un declino cognitivo soggettivo, altra condizione a rischio. Questo progetto vuole essere la risposta a un’esigenza tuttora insoddisfatta. Le istituzioni pongono l’accento su aspetti quali la prevenzione e l’intervento precoce e la letteratura scientifica continua a produrre evidenze su trattamenti non-farmacologici efficaci nel contrastare il declino cognitivo, ma i CDCD, nati come evoluzione delle UVA, sono ancora organizzati come ambulatori per la diagnosi e la prescrizione di farmaci, e non sono luoghi idonei per mettere in atto questo tipo di interventi”.
“La forza di questo progetto, che nasce nell’ambito di un Day Hospital riabilitativo, è la proposta di un approccio multimodale basato su interventi raccomandati nelle linee guida internazionali che prevedono un’equipe multidisciplinare non presente, invece, nell’ambito dei CDCD – conclude Mazzone. Il percorso, personalizzato sulla base della valutazione neuropsicologica e del progetto individuale predisposto dall’equipe, prevede, dove necessario, anche interventi di supporto psicologico sia per il paziente sia per il caregiver, valutazioni e interventi logopedici in presenza di disturbi del linguaggio o della deglutizione e terapia occupazionale per promuovere il mantenimento dell’autonomia”.
“La popolazione italiana è una delle più anziane al mondo e il progressivo incremento degli over 65 comporterà un ulteriore consistente aumento della prevalenza dei pazienti affetti da demenza, attualmente stimati in oltre un milione, di cui circa 600mila con malattia di Alzheimer; si stima inoltre che circa 3 milioni di persone siano coinvolte nell’assistenza dei loro cari e questo comporta anche un aumento dei costi per i singoli e per il Sistema Sanitario Nazionale – commenta il Direttore Generale, Enzo Lucchini –. Dal momento che, a oggi, non esistono farmaci che abbiano dimostrato efficacia terapeutica per i disturbi cognitivi lievi, il Progetto Me.Mo.Ri., forte dei risultati incoraggianti delle evidenze scientifiche e dell’esperienza di un team di specialisti, promuove un approccio unico e innovativo che speriamo possa fare da modello per altre realtà regionali e nazionali”.

“Questo progetto importante si inserisce in un quadro specifico e qualificato di presa in carico del paziente, che Regione Lombardia sta attuando attraverso un approccio diretto e innovativo – sottolinea l’assessore al Welfare di Regione Lombardia, Giulio Gallera. Una proposta che coinvolge tutti gli attori del sistema sociosanitario regionale e che si pone inoltre l’obiettivo di garantire la diagnosi e la presa in carico tempestiva, la continuità assistenziale e tutte le forme di sostegno alla persona e alla sua famiglia nelle diverse fasi della malattia e nei diversi contesti di vita e di cura”.