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È stato presentato, presso l’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, all’interno del convegno “DBS – Pro e Contro”, il caso di un paziente della struttura, pubblicato sulla rivista Surgical Neurology International, che suggerisce la validità di un utilizzo precoce della Stimolazione Cerebrale Profonda per la terapia del Parkinson. La malattia di Parkinson è una malattia neurodegenerativa progressiva, caratterizzata principalmente da tremore, rigidità muscolare, bradicinesia e instabilità posturale. A oggi, il trattamento più efficace dei sintomi della malattia è la terapia farmacologica con levodopa (L-dopa), che contribuisce ad attenuare le manifestazioni motorie maggiormente invalidanti e che intaccano in misura significativa la qualità di vita dei pazienti. Tuttavia, la somministrazione di L-dopa si può associare a effetti collaterali anche severi per cui è sempre bene discuterne con lo specialista.
La stimolazione cerebrale profonda – o DBS, Deep Brain Stimulation – è considerata un trattamento efficace e sicuro per gli stadi avanzati della malattia di Parkinson ed è generalmente proposta a quei pazienti che non rispondono più al trattamento farmacologico e che rispondono a dei criteri molto precisi di selezione.
Il paziente dell’IRCCS Galeazzi, oggetto di un articolo recentemente pubblicato su Sterotactic, supplemento di Surgical Neurology International, è un ingegnere di 53 anni, affetto da malattia di Parkinson dall’età di 44 anni, con una vita lavorativa molto attiva e densa di viaggi e una grande passione per la montagna e in modo particolare per la discesa libera. Nel 2009 i suoi sintomi motori peggiorano e il trattamento con levodopa sembra l’unica soluzione. Dopo una discussione preoperatoria e la valutazione complessiva del suo stato, gli specialisti del IRCCS Galeazzi gli propongono la stimolazione cerebrale profonda e si procede all’impianto. Fino al 2015, grazie alla DBS, i sintomi del paziente si sono stabilizzati o ridotti, consentendogli di non abbandonare le proprie passioni, di mantenere i propri livelli di attività lavorativa e di ritardare la terapia farmacologica.