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L’incubo Covid-19, purtroppo, è tornato a materializzarsi generando forti timori e preoccupazioni, oltre a restrizioni sempre più estese. Purtroppo i sacrifici sin qui fatti non sono bastati per reggere l’urto di un’epidemia tornata con prepotenza a colpire in questa seconda ondata soprattutto i centri abitati risparmiati o solamente lambiti a marzo e aprile. Se una persona vuole sapere se è entrata o meno in contatto con il Covid-19, le linee guida suggeriscono in primis di sottoporsi al test sierologico per la ricerca degli anticorpi e, in caso di positività, al tampone naso-faringeo, l’unico strumento valicato certo di identificazione del virus. 

Ma secondo uno studio del Karolinska Institutet anche la presenza di linfociti T nel sangue sarebbe un indicatore della presenza del coronavirus. 

Scopriamo di più su questa ricerca scientifica e sul ruolo di questi speciali globuli bianchi, grazie al commento del Prof. Fouad Kanso, Responsabile del laboratorio analisi dell’Istituto Clinico S. Anna 

Come dimostra la ricerca scientifica condotta dal Karolinska Institutet e dal Karolinska University Hospital di Stoccolma, approvata dalla comunità scientifica e proposta su “Cell”, si fa strada un’altra ipotesi secondo la quale l’immunità pubblica al Covid-19 è probabilmente superiore a quanto suggeriscono i test sugli anticorpi e questo perché in tanti hanno sviluppato l’immunità dei linfociti T. Stando a quanto riportato da questo studio, quindi, un referto di negatività al test degli anticorpi non è detto corrisponda al fatto di non aver contratto il virus soprattutto se si è manifestato in forma lieve o asintomatica.

I ricercatori svedesi hanno eseguito analisi immunologiche di campioni di oltre 200 persone, molte delle quali con sintomi lievi o del tutto asintomatiche. Sono stati inclusi sia i pazienti ricoverati presso il Karolinska University Hospital, sia altri pazienti con i rispettivi familiari asintomatici di ritorno a Stoccolma dopo una vacanza a marzo, oltre ai donatori di sangue del 2020 e del 2019.

L’aspetto più interessante emerso è che non erano solo gli individui con Covid verificato a mostrare l’immunità dei linfociti T, ma anche molti dei loro familiari asintomatici esposti. 

Inoltre, circa il 30% dei donatori di sangue che avevano donato sangue a maggio 2020, aveva cellule T specifiche per il coronavirus, un numero molto più alto di quanto hanno dimostrato i precedenti test anticorpali. 

I pazienti con Covid-19 grave spesso hanno sviluppato una forte risposta dei linfociti T e una risposta anticorpale; in quelli con sintomi più lievi non era sempre possibile rilevare una risposta anticorpale, ma nonostante ciò molti mostravano ancora una marcata risposta dei linfociti T.

I linfociti T sono un tipo di globuli bianchi specializzati nel riconoscimento delle cellule infettate da virus e sono una parte essenziale del sistema immunitario. Entrano in gioco come seconda linea di difesa, come il cuore della risposta adattiva, dopo l’attivazione degli anticorpi che rappresentano solamente una manifestazione della risposta immunitaria. Purtroppo misurare la risposta mediata di queste cellule richiederebbe dei test molto più sofisticati e costosi ma, riconoscendo sequenze del virus diverse da quelle distinguibili tramite la ricerca degli anticorpi, sarebbe fondamentale per accertare la memoria dell’infezione. 

“Questa studio – ha spiegato il Prof. Fouad Kanso – ha dimostrato che in un terzo dei pazienti presi in esame è avvenuta l’attivazione dei linfociti T e in ognuno dei soggetti colpiti da Covid-19 queste cellule si sono comportate in maniera diversa. 

Questa differente attivazione ha aiutato a spiegare il motivo per cui alcune persone, pur essendo infettate dal virus, non hanno sviluppato i linfociti B, cellule del sistema immunitario che giocano invece un ruolo primario nell’immunità umorale dell’immunità acquisita. 

È proprio in questi casi che sono entrati in azione i linfociti T e lo hanno fatto per riparare i danni prodotti dal virus. Si può, dunque, affermare che questa specifica tipologia di linfociti riveste un ruolo ben più importante rispetto agli anticorpi tradizionali nel proteggerci da questa temibile malattia”.