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L’analfabetismo scientifico compromette la democrazia. Senza conoscenze scientifiche, le persone sono influenzate da informazioni errate e teorie del complotto, mettendo a rischio le decisioni democratiche su questioni complesse come ambiente e salute pubblica. In questo contesto il sentimento antiscientifico può avere conseguenze dannose sulla società, la salute e l’ambiente. Promuovere l’istruzione scientifica e l’accesso alle informazioni basate su evidenze è fondamentale per una democrazia informata. Questi i temi cruciali discussi oggi in occasione della sessione inaugurale del forum multidisciplinare “Panorama diabete – Prevedere per prevenire” promosso al Palazzo dei Congressi di Riccione dal 21 al 24 maggio dalla Società Italiana di Diabetologia presieduta da Angelo Avogaro.

Il simposio “Il mondo post pandemico: dalla crisi nuove opportunità” ha riunito intellettuali, personalità scientifiche e accademiche per discutere di temi cruciali. Durante l’evento, sono emerse diverse prospettive sulla scienza, la salute e la comunicazione scientifica, offrendo spunti significativi per affrontare le sfide attuali e future.

Massimiano Bucchi, studioso dei rapporti tra scienza, tecnologia e società dell’Università di Trento, ha aperto il dibattito affrontando l’analfabetismo scientifico e la sua relazione con la democrazia. Ha evidenziato come lo sviluppo scientifico e tecnologico possa creare disuguaglianze radicali e minacciare la convivenza democratica. L’asimmetria di conoscenza e il controllo delle tecnologie possono influenzare la partecipazione e la capacità dei cittadini di prendere decisioni informate. La diffidenza verso la scienza può portare a informazioni errate e compromettere la gestione delle crisi. Per preservare la democrazia, Bucchi suggerisce di affrontare l’analfabetismo scientifico promuovendo una cultura scientifica diffusa e investendo nell’educazione scientifica, nel pensiero critico e nella diffusione di informazioni accurate. È importante promuovere la trasparenza e la responsabilità nella gestione delle tecnologie per garantire il loro utilizzo orientato al bene comune.

Nino Cartabellotta, presidente della “Fondazione Gimbe”, ha sottolineato l’importanza di migliorare e implementare l’Evidence Based Medicine tenendo conto del concetto di ecosistema delle evidenze. Ha evidenziato i costi elevati e la complessità pratica dei trial controllati contro placebo su ampie fasce di popolazione. Durante la pandemia da COVID-19, ha notato come la produzione dei vaccini efficaci abbia richiesto un’implementazione rapida, che non ha seguito completamente l’EBM, ma ha comunque portato alla realizzazione di diversi vaccini focalizzati sulla prevenzione delle forme gravi della malattia. Queste considerazioni di Cartabellotta indicano la necessità di migliorare l’EBM in modo da tener conto dell’ecosistema delle evidenze. Ciò implica l’ampliamento delle fonti di evidenza, oltre ai trial controllati, come l’utilizzo di dati real-world e l’analisi di studi osservazionali. Inoltre, è importante incoraggiare la trasparenza, la condivisione dei dati e la collaborazione tra i ricercatori per creare un ecosistema più robusto e affidabile.

Il ricercatore Enrico Bucci, docente presso la Temple University di Philadelphia, ha affrontato il tema della crisi della comunicazione scientifica nel suo intervento intitolato “Crisi della comunicazione della scienza e nella scienza”. Bucci ha evidenziato un crescente squilibrio tra quantità e qualità nella produzione scientifica, in cui la maggior parte delle pubblicazioni costituisce un “rumore di fondo”, mentre solo una parte degli studi contribuisce effettivamente all’avanzamento della scienza. Questa situazione pone una serie di sfide nella comunicazione scientifica. Il sovraccarico di informazioni e la presenza del rumore di fondo rendono difficile per i ricercatori e per il pubblico in generale distinguere gli studi di valore e affidabili. Migliorare la qualità e l’affidabilità delle pubblicazioni scientifiche è fondamentale per garantire che l’avanzamento della scienza avvenga in modo accurato e significativo, e per favorire una comunicazione scientifica più efficace con il pubblico e la comunità scientifica.

Il professor Ivan Cavicchi ha presentato la relazione “Crisi della sanità o crisi della medicina?” evidenziando che la crisi della sanità ha radici profonde. Ha sottolineato l’importanza di adottare una visione umanistica della medicina, ponendo l’individuo al centro come pilastro della scienza medica. La crisi pandemica ha evidenziato aspetti critici nel sistema di ricerca e nell’assistenza sanitaria, richiedendo una profonda riflessione e un ripensamento per affrontare le sfide future, in particolare quelle associate alle malattie croniche non trasmissibili come il diabete. Affrontare tali sfide richiede una riforma del sistema sanitario e una maggiore attenzione alla prevenzione, alla cura personalizzata e alla sostenibilità finanziaria. Ma a questo si deve aggiungere un ripensamento profondo della medicina e della relazione medico paziente

In conclusione, la medicina ha fatto enormi progressi grazie alla tecnologia, ma ha perso il contatto diretto con i pazienti. Oggi, i pazienti desiderano non solo guarire, ma anche vivere una vita soddisfacente all’interno della società. Di conseguenza, la medicina spesso non riesce a soddisfare appieno le esigenze dei pazienti poiché il concetto di salute è cambiato. Stiamo evolvendo verso un approccio medico basato sulla scelta, in cui le persone devono prendere decisioni consapevoli riguardo alla loro salute. La medicina moderna si focalizzerà sulla relazione tra medico e paziente, comprendendo la malattia all’interno di un contesto relazionale che tiene conto delle cause e delle capacità relazionali dell’individuo. Pertanto, per essere medici competenti, sarà essenziale riflettere sul proprio ruolo professionale anche da una prospettiva sociologica e filosofica

Per la prima volta nella storia delle terapie per la prevenzione e il trattamento del diabete di tipo 1, inoltre, si affaccia sulla scena un farmaco in grado di ritardarne l’insorgenza dai 3 ai 5 anni. Il teplizumab, anticorpo monoclonale somministrabile per via endovenosa al cui sviluppo ha contribuito la ricerca italiana, è stato approvato a novembre dalla statunitense Food and Drugs Administration, aprendo la strada ad il suo utilizzo anche in Europa dove al momento è in fase di revisione da parte delle autorità di regolamentazione dei farmaci nel Regno Unito e nell’Unione Europea.

La sfida, come ha evidenziato la sessione plenaria della seconda giornata di “Panorama Diabete”, è quella della previsione dei soggetti ai quali somministrare il farmaco, che va utilizzato prima dell’insorgenza della malattia. Ne hanno discusso nel simposio “Diabete di tipo 1: prevedere per prevenire” Francesco Dotta, con la relazione “predizione del diabete di tipo 1: stratificazione del rischio”; Tadej Battelino, con la relazione “Prevenzione primaria e terziaria del diabete di tipo 1; Raffaella Buzzetti, con la relazione “Prevenzione secondaria e terapie mirate al CD3; Emanuele Bosi, con la relazione “Screening di popolazione nel diabete di tipo 1: è arrivato il tempo?”.

L’immunoterapia con teplizumab è stata infatti approvata dalla FDA come un nuovo approccio terapeutico per rallentare la distruzione di β-cellule, aprendo nuovi scenari per il futuro e ponendo nuove domande sulla opportunità di stratificare il rischio della malattia nella popolazione e di procedere a uno screening mirato a identificare i soggetti a cui applicare la terapia per ritardare la malattia: individui di età maggiore di 8 anni, con almeno due auto anticorpi circolanti e che abbiano una condizione di prediabete, ovvero alti tassi di zucchero nel sangue.

Ciò può esser fatto attraverso esami ematici del costo di poche decine di euro per individuo, con un rapporto positivo tra costi e benefici, come avviene già in diversi Lander nella Repubblica Federale Tedesca, tra i quali la Baviera. Se le persone con diabete di tipo 1 in Italia sono circa 180.000, il costo umano è elevato poiché sono colpite da una patologia che toglie dai 10 ai 15 anni all’aspettativa di vita. Inoltre il trattamento delle persone con diabete di tipo 1 è molto oneroso per il sistema sanitario nazionale, con una terapia insulinica a vita, una tecnologia di monitoraggio impegnativa e la necessità di un’assistenza medica specialistica; infine, il diabete di tipo 1 è in crescita annua del 2%-3% e durante la pandemia, per cause ignote, è aumentato ancor di più.

“Dopo circa 30 anni di studi e relativi trials clinici finalizzati alla prevenzione dell’insorgenza clinica del diabete tipo 1 nei soggetti a rischio – dichiara il Presidente Eletto di SID, Raffaella Buzzetti – l’approvazione negli Stati Uniti di un farmaco a base di anticorpi monoclonali, il teplizumab, capace di dilazionare di circa 2 anni l’insorgenza della malattia apre nuovi scenari. Al di là dell’efficacia di questa molecola che necessita di ulteriori studi a lungo termine, questa approvazione offre nuova linfa ed entusiasmo, dopo anni di attesa, nella ricerca di base e nell’implementazione di studi clinici per prevenire o addirittura curare il diabete tipo 1”.

“È un momento particolare – dichiara il Presidente del Comitato Scientifico della SID, Lorenzo Piemonti, professore di endocrinologia e direttore del Diabetes Research Institute dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – perché per la prima volta abbiamo la possibilità di immaginare di intervenire in una fase precoce del diabete di tipo 1, prima che compaia la malattia clinica, grazie a dei sistemi di predizione molto opportuni. Si apre così una nuova era, sia dal punto di vista scientifico che di quello della sanità pubblica, poiché possono essere attuate strategie per ridurre il carico della malattia all’interno della popolazione. Si tratta di una delle novità più importanti nel campo della diabetologia per il diabete di tipo 1 in cui il nostro Paese ha giocato un ruolo importante, contribuendo a costruire questa prospettiva con la propria ricerca scientifica. È importante che ciò avvenga proprio mentre in Parlamento è in discussione l’approvazione di una legge che introduce per la prima volta al mondo lo screening di popolazione per il diabete di tipo 1: un primato che porrebbe l’Italia all’avanguardia nella predizione e prevenzione di questa malattia”.