Uso di cortisonici e Covid-19: nei pazienti trattati senza ossigeno aggrava la loro condizione
Una meta-analisi appena pubblicata sulla prestigiosa rivista “New England Journal of Medicine Evidence” evidenzia con dati scientifici solidi come la somministrazione di cortisone, noto anche come corticosteroide o glucocorticoide, nei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ossigenoterapia, possa aggravare la loro condizione.
Lo studio è stato coordinato dal professor Giovanni Landoni, direttore del Centro di Ricerca in Anestesia e Terapia Intensiva, e dal professor Alberto Zangrillo, primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale, Cardio-Toraco-Vascolare e dell’Area Unica di Terapia Intensiva Cardiologica e Cardiochirurgica, entrambi dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.
Dall’inizio della pandemia sono stati seguiti oltre 6.200 pazienti Covid-19 nei reparti dell’Ospedale San Raffaele. Questo ha permesso a medici e ricercatori in prima linea di osservare le caratteristiche di molti pazienti, di proporre nuove tecniche e trattamenti che hanno permesso di migliorare il loro decorso e di aggiungere importanti tasselli per la comprensione di una patologia insidiosa.
Dai lavori scientifici pubblicati, accanto a terapie innovative e alle strategie messe a punto per ridurre l’utilizzo dei ventilatori, sono emersi dati importanti che evidenziano un tasso di mortalità più basso per pazienti COVID-19 trattati nelle Unità di Anestesia e Rianimazione dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.
“Grazie all’esperienza maturata nei giorni più intensi della pandemia abbiamo imparato come nelle forme più gravi di malattia, quelle che richiedevano un supporto respiratorio o un ricovero in terapia intensiva, il trattamento farmacologico che risultava più efficace era quello con corticosteroidi. Le evidenze scientifiche dimostravano come fosse in grado di ridurre la mortalità per Covid-19 del 30% – spiega Giovanni Landoni, ultimo autore della meta-analisi -.
Viceversa era possibile che l’utilizzo di questa classe di farmaci immunosopressivi avesse effetti controproducenti in pazienti Covid-19 che però non necessitavano di ossigenoterapia. Il farmaco infatti in alcuni casi era associato a infezioni secondarie, iperglicemia e disturbi della personalità”.
Il team di ricercatori in questa meta-analisi ha aggiunto un punto definitivo prendendo in considerazione diversi lavori scientifici già pubblicati e alcuni dati non ancora pubblicati, grazie alla collaborazione di importanti gruppi di ricerca di altri Paesi, che comprendevano un totale di 6.634 pazienti adulti affetti da Covid-19 non in ossigenoterapia provenienti da 8 diversi Paesi.
Dei 6.634 pazienti: 3.704 avevano ricevuto cortisonici; 2.930 avevano ricevuto un trattamento standard con terapia di supporto ed eventualmente antivirali e anticoagulanti simile all’altro gruppo di pazienti, ma senza il cortisonico.
I dati analizzati hanno permesso di dimostrare che ogni 27 malati Covid-19, che non necessitavano di ossigenoterapia, ma che invece avevano ricevuto cortisone, ve ne era 1 che vedeva la propria condizione aggravarsi proprio a causa della somministrazione del farmaco.
Afferma il professor Landoni: “Anche se i casi gravi di Covid-19 nella popolazione vaccinata Italiana sono pochissimi, i risultati di questo studio permetteranno di evitare la somministrazione di cortisone in stadi precoci di Covid-19 in tutto il mondo, dando forza alle raccomandazioni degli esperti e delle società scientifiche che già consigliavano di evitare il cortisone. Inoltre, i dati emersi ci aiuteranno a gestire meglio future pandemie virali respiratorie soprattutto in alcuni Paesi, tra cui l’Italia, dove durante la pandemia, i glucocorticoidi venivano spesso prescritti in modo eccessivo”, conclude il professor Landoni.
Grazie alla semplicità del messaggio e alla prestigiosa rivista di pubblicazione, in poche ore l’articolo è entrato nel top 3% degli articoli scientifici più letti di sempre e rientra negli oltre 1.000 lavori scientifici peer-reviewed pubblicati sulle più importante riviste scientifiche internazionali, frutto del confronto continuo tra i 1.226 ricercatori e clinici dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, impegnati sul fronte Covid dal 2020 ad oggi.