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Gli anziani sono i più colpiti non solo dal Covid-19 ma anche da numerose altre patologie correlate, come l’osteoporosi. Le statistiche parlano chiaro: già oggi l’80% delle persone trattate per una frattura non riceve una terapia anti-osteoporosi, accrescendo così il rischio di patologie correlate e nuove fratture.
Lo stop dei mesi scorsi delle attività sanitarie sulle malattie croniche, come osteoporosi e riabilitazione, fa prevedere agli esperti una nuova impennata delle fratture.

A dirlo, in un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Reviews Endocrinology, è il prof. Nicola Napoli, medico dell’unità di Endocrinologia del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico che lancia l’allarme: “In Italia appena il 20% dei pazienti con fratture viene sottoposto a una terapia anti-osteoporosi, mentre il restante 80 per cento non riceve trattamenti. E’ come se un paziente, dopo un infarto, venisse dimesso senza che gli fosse prescritta una cura a base, per esempio, di statine o betabloccanti. Noi vogliamo sensibilizzare medici e pazienti su una emergenza silenziosa che dopo l’epidemia di Covid-19 rischia di esplodere in tutta la sua drammaticità”.

La pandemia in corso in tutto il mondo e la cura dei pazienti con fragilità ossea sono quindi strettamente connessi. I dati a disposizione indicano che la maggior parte dei pazienti ospedalizzati con Covid-19 ha una età media superiore ai 60 anni, sono soggetti fragili e con almeno un’altra patologia in corso che, insieme all’immobilizzazione e a trattamenti di lungo periodo, aumentano il rischio di fragilità ossea e di fratture. Secondo gli ultimi dati disponibili in Italia sono circa 3,5 milioni le donne e 1 milione gli uomini affetti da osteoporosi. Nei prossimi 20 anni, con il progressivo invecchiamento della popolazione, si prevede un aumento del 25% degli over 65, e la Società italiana dell’osteoporosi stima un proporzionale incremento dell’incidenza di osteoporosi nella popolazione.

Sfortunatamente nell’emergenza Covid-19, in molti Paesi del mondo, i malati di osteoporosi sono stati classificati come “non urgenti” poiché tale patologia non riguarda i parametri vitali. Ma proprio per questo motivo nei prossimi mesi gli esperti prevedono una drammatica impennata delle fratture e della mortalità ad esse collegata. “Nei pazienti di 65 anni e più l’immobilizzazione porta rapidamente alla perdita di massa muscolare e di forza – prosegue il prof. Nicola Napoli – Questo, insieme alle altre patologie correlate al Covid-19, come infiammazione cronica e fragilità, contribuisce ad accrescere la probabilità di cadute e relative fratture”.

In tutto il mondo l’osteoporosi è una malattia in crescita con rilevanti conseguenze, fisiche, psicologiche ed economiche per i pazienti e i loro caregiver. Ogni anno, solo negli Stati Uniti si contano più di 2 milioni di fratture, mentre in Italia negli over 50 sono oltre 90mila le fratture di femore. Se in questa emergenza le malattie muscolo-scheletriche sono state classificate tra quelle meno rischiose, e le cure considerate quindi differibili, in realtà – solo per fare un esempio – le fratture dell’anca possono comportare pesanti conseguenze nei pazienti colpiti. “Durante il lockdown molti reparti di ortopedia, di riabilitazione o per pazienti cronici sono stati chiusi, sia per dare spazio a pazienti Covid che per garantire misure anticontagio. Di conseguenza, i pazienti con frattura d’anca, se accettati in ospedale, sono stati rapidamente dimessi dopo l’operazione – conclude il prof. Nicola Napoli – e spesso senza corretta riabilitazione post-chirurgica, trattamenti anti osteoporosi, o ulteriori raccomandazioni per il follow-up. Ne consegue un aumentato rischio di sviluppare tute le complicanze legate alle fratture di femore, quali allettamento, piaghe da decubito, infezioni, patologie cardiovascolari che aumentano drasticamente il rischio di disabilità e morte”.

Il rischio di morte per i pazienti con una frattura del femore va dal 15 al 30% entro un anno: l’incidenza delle fratture osteoporotiche sulla mortalità è sostanzialmente sovrapponibile a quella per ictus e carcinoma mammario. Inoltre, due terzi di coloro che sopravvivono si ritrovano spesso in una condizione di disabilità permanente e di dipendenza da familiari e caregivers, senza contare i costi diretti e indiretti a carico della collettività.

Per questo il prof. Nicola Napoli lancia un appello “A questo punto della pandemia è necessario porre maggiore attenzione a chi soffre di osteoporosi. La gestione di questi pazienti è già complessa in circostanze normali. Con la pandemia ancora in corso e considerando le attuali difficoltà nel visitare i pazienti nei contesti ospedalieri, è necessario uno sforzo per garantire loro trattamenti adeguati: la continuità delle cure, infatti, non è solo prerequisito per il successo della cura stessa, ma è importante per assicurare la sopravvivenza del paziente nel tempo”.

Linee guida specifiche su trattamento e screening della densità ossea durante la pandemia di Covid-19 sono state realizzate dalla American Society for Bone and Mineral Research, American Association of Clinical Endocrinologists, Endocrine Society, European Calcified Tissue Society e dalla National Osteoporosis Foundation e raccomandano il trattamento con vitamina D in quanto può avere effetti benefici sullo scheletro e sulle funzioni muscolari, l’andatura e il sistema immunitario dei pazienti affetti da Covid-19. Inoltre ricordano di accrescere la comunicazione con i pazienti sull’importanza di trattamenti anti osteoporosi. “È fortemente consigliato – conclude Nicola Napoli – che le persone con fratture da fragilità siano gestite in una contesto clinico multidisciplinare e che sia garantito non solo un adeguato trattamento chirurgico ma anche cure appropriate dopo le dimissioni”.