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Prima in Europa, l’Associazione Medici Diabetologi ha misurato con metodo scientifico – SROI – l’impatto delle prestazioni diabetologiche sulla salute dei pazienti in termini di outcome clinici ben definiti, a partire dagli Standard di cura condivisi dalla classe medica. Obiettivo del progetto lanciato da AMD, dal nome “Diabetes & Intelligence”, è comprendere l’effettiva utilità di ciascuna attività esercitata dal diabetologo – e quindi di ogni prestazione offerta ai pazienti – e supportare le Istituzioni preposte nella definizione, in prospettiva, di nuovi modelli assistenziali per la multi cronicità.
Dall’indagine, che ha coinvolto oltre 200 medici diabetologi aderenti alla società scientifica, è emerso che la “top 5” delle prestazioni e degli standard organizzativi più utili nel soddisfare il bisogno di salute della persona con diabete sono, in ordine di efficacia, la terapia educazionale, la personalizzazione del piano terapeutico, la diagnosi e la valutazione biomedica, la concreta valutazione della fragilità del paziente, e ancora la garanzia dell’autocontrollo glicemico. Da notare che segue, al sesto posto, l’utilizzo della cartella clinica informatizzata.
Se è vero che le attività a impatto sociale possono indirettamente produrre risultati economici – per esempio, in ambito diabetologico, la riduzione delle complicanze contribuisce a ridurre la spesa per la loro gestione – è ancor più vero che si tratta di attività prettamente qualitative, caratterizzate da notevoli difficoltà di misurazione oggettiva del risultato.
Si tratta di un modello di Analisi Organizzativa riconosciuto a livello internazionale, che serve a misurare in modo oggettivo il valore generato da attività che hanno obiettivi sociali e non economici. Aspetto che contraddistingue anche le prestazioni diabetologiche, che hanno obiettivi prettamente assistenziali. Il vantaggio del metodo SROI risiede nel fatto che – grazie a un livello di analisi molto dettagliato e a un forte coinvolgimento degli stakeholder nel processo di valutazione – permette di trasformare il dato qualitativo in score definiti, ossia in quantità misurabili.
Ma quali sono, in concreto, i risultati clinici sui quali incidono positivamente le prestazioni inserite da AMD nella sua “top 5” scientificamente validata? L’indagine svolta attraverso l’iniziativa DIA&INT ha risposto anche a questa domanda: al primo posto si trova l’ottimizzazione del controllo metabolico, al secondo il controllo dei fattori di rischio cardiovascolare, seguono la riduzione delle ospedalizzazioni e degli accessi al pronto soccorso, la riduzione delle giornate di degenza dei pazienti eventualmente ospedalizzati, e in quinta piazza l’aumento dell’appropriatezza nell’utilizzo di tutte le tecnologie disponibili per le persone con diabete.
Il sistema DIA&INT può anche essere considerato come un osservatorio dinamico in grado di comprendere e governare il cambiamento: “Una volta definiti gli outcome e le azioni prioritarie che li determinano, sarà possibile individuare un modello ideale di attività che risponde ai bisogni di malattia e ai bisogni della persona con diabete. Il passo successivo sarà quello di mettere a confronto questa situazione ‘ideale’ con quella reale. Saremo quindi in grado di identificare e colmare gap o aree di scostamento tra il piano assistenziale delineato nel Piano Nazionale Diabete e il modus operandi del diabetologo, caratterizzato da specificità che, ad oggi, non sono ancora implementate uniformemente nei percorsi di cura, come pure negli organigrammi aziendali”, conclude la Presidente Musacchio.
I risultati di DIA&INT – che si stanno arricchendo anche delle esperienze specifiche di infermieri e MMG – consentiranno ad AMD di fornire al Ministero della Salute strumenti concreti per l’implementazione del Chronic Care Model fondati su valori oggettivi e misurabili.

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