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I ricercatori del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università Statale di Milano, in collaborazione con i dipartimenti di Salute Mentale e delle Dipendenze dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano e dell’ASST di Lodi, e con la Struttura Salute Mentale, Dipendenze, Disabilità e Sanità Penitenziaria della Regione Lombardia, hanno pubblicato uno studio su “Nature Mental Health” sull’impatto di strumenti di telepsichiatria. Al progetto hanno collaborato anche docenti di psichiatria dell’Università di Oxford e dei tre poli didattici cittadini della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Statale di Milano.

E’ stata utilizzata la banca dati di Regione Lombardia dei servizi di salute mentale territoriali per descrivere la trasformazione degli interventi durante il primo anno pandemico, compresa la progressiva implementazione della telepsichiatria. Sebbene le implicazioni per la salute mentale della crisi pandemica siano oggetto di innumerevoli studi, non era infatti ad oggi disponibile una lettura epidemiologica integrata sulla risposta di un sistema sanitario pubblico esteso come quello lombardo, che copre un bacino di utenza di 10 milioni circa di persone mediante il lavoro di 36 dipartimenti, distribuiti su 12 province.

Rispetto all’anno precedente, nel primo semestre del 2020 si registrava una riduzione nel numero complessivo di prestazioni, e le province con un impatto precoce e maggiore della pandemia mostravano anche un maggior decremento del numero di interventi psichiatrici. Il numero di prestazioni tornava però rapidamente sovrapponibile a quello dell’anno precedente nel secondo semestre 2020, quando si osservava una progressiva integrazione della telepsichiatria nella pratica clinica. Questi interventi erano relativamente più utilizzati con utenti donne per tutte le fasce d’età e le diagnosi; in generale, si evidenziava poi una progressiva diminuzione degli interventi effettuati da remoto all’aumentare dell’età, con un nuovo aumento oltre i 65 anni. La telepsichiatria era relativamente più utilizzata in gruppi di utenti con un impatto complessivo minore sulle risorse dei servizi, quali disturbi alimentari ed ossessivo-compulsivo, meno in quelli con maggiore impatto, quali ad esempio i disturbi dello spettro schizofrenico.

I dati internazionali disponibili ad oggi provenivano da singoli siti o da collaborazioni di piccoli gruppi nel contesto di reti assistenziali meno integrate. Oltre a fornire informazioni specifiche sulla risposta dei servizi di salute mentale all’emergenza pandemica, lo studio evidenzia i vantaggi in termini di ricerca dei registri italiani per la salute mentale, che riflettono l’attività di un sistema sanitario pubblico estesamente distribuito ed accessibile, con una rete di servizi ampiamente sovrapponibili tra i centri.

“Sebbene le diseguaglianze regionali nell’organizzazione dei servizi e nelle risorse a disposizione limitino l’estensibilità delle osservazioni, i risultati potranno contribuire allo sviluppo di nuove politiche sanitarie volte ad ottimizzare l’erogazione dei servizi, a livello nazionale e in contesti internazionali simili al nostro” conclude Armando D’Agostino, psichiatra dell’Università degli Studi di Milano e dell’Ospedale San Paolo e coordinatore del lavoro di ricerca.

Nonostante l’emergenza relativa alla salute mentale catalizzata dalla pandemia, l’Italia continua infatti ad essere uno dei Paesi G7 con minori risorse economiche destinate al settore. La mole di interventi annuali erogati evidenziata dallo studio sembra giustificare un congruo investimento sulle nuove tecnologie, sulla formazione dei lavoratori e sulla ricerca epidemiologica su vasta scala relativa ad efficacia degli interventi e soddisfazione di operatori e utenti.