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Gli over-65 che hanno avuto Covid-19 avrebbero un rischio più elevato del 69% di ricevere una diagnosi di Alzheimer entro un anno dall’infezione rispetto a chi il Covid non l’ha avuto. Per gli over-85 e per le donne questo aumento di rischio è dell’89% e 82% rispettivamente.

Lo dicono i risultati di uno studio realizzato alla Case Western Reserve University School of Medicine di Cleveland, pubblicato sul “Journal of Alzheimer’s Disease”. L’indagine è stata condotta sulla base di cartelle cliniche anonime di oltre 6 milioni di uomini e donne di età pari o superiore a 65 anni nel corso dell’anno successivo all’infezione.

Gli stessi autori hanno detto che non si può dire se il virus inneschi lo sviluppo dell’Alzheimer, cioè rappresenti un nuovo fattore di rischio per la grave malattia neurodegenerativa, o se ne acceleri l’evoluzione facendola emergere. Quello appena pubblicato infatti è uno studio che per sua natura non indaga i meccanismi molecolari sottostanti a un fenomeno né le relazioni di causa-effetto tra eventi ma osserva una associazione tra fenomeni, in questo caso tra infezione di Sars-cov-2 e diagnosi di malattia in un campione ampio di popolazione.

“I fattori che giocano un ruolo nello sviluppo dell’Alzheimer non sono ben compresi, ma due elementi sono considerati importanti: le infezioni precedenti, le infezioni virali in particolare, e l’infiammazione”, ha spiegato Pamela Davis, professore alla Case Western Reserve e coautrice dello studio. “Visto che l’infezione da sars-cov-2 è stata associata ad anomalie a carico del sistema nervoso centrale compresa l’infiammazione – ha aggiunto Davis – abbiamo voluto vedere se il Covid potesse risultare in un incremento delle diagnosi anche a breve termine”.

I ricercatori allora hanno esaminato le cartelle cliniche elettroniche anonime di 6,2 milioni di uomini e donne di età pari o superiore a 65 anni che negli Stati Uniti avevano ricevuto cure mediche tra febbraio 2020 e maggio 2021.

Hanno suddiviso il campione in due gruppi: quello di chi in quell’arco di tempo aveva avuto il Covid (400.000) e quello delle persone che non lo avevano avuto. Il rischio di nuova diagnosi di Alzheimer complessivo, cioè misurato su tutti gli over65 senza ulteriore distinzione per fascia d’età, era di più del doppio nel campione di pazienti che avevano avuto il Covid.

“Se questo aumento di diagnosi di Alzheimer verrà mantenuto nel tempo, si potrebbe avere un’ondata di pazienti con una malattia contro la quale oggi non abbiamo una cura che potrebbe mettere a dura prova le nostre risorse per l’assistenza a lungo termine”, ha detto ancora Davis, riferendosi naturalmente agli Usa. “Tante persone hanno avuto Il Covid e le conseguenze a lungo termine dell’infezione stanno ancora emergendo. È importante allora – ha aggiunto e concluso l’esperta – continuare a monitorare l’impatto di questo virus sulla disabilità futura”.

Lo studio potrebbe indurre a farci preoccupare per i nostri anziani in realtà ci dice che nell’anno successivo alla infezione da Covid soprattutto gli ultra85enni possono mostrare disturbi cognitivi assimilabili alla malattia di Alzheimer. Ma questa osservazione – dice Camillo Marra, direttore responsabile della Clinica della Memoria Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS a Roma – potrebbe essere  legata al precipitare di situazioni pre cliniche di malattia, peggiorate dall’infezione, il che spiega perché l’osservazione è più consistente, più evidente nei più anziani del campione”. In pratica il Covid potrebbe accelerare i sintomi della malattia.

“La possibilità di correlare il Covid allo sviluppo di future patologie neurodegenerative  come il Parkinson e Alzheimer richiede studi osservazionali longitudinali, prolungati nel tempo”, aggiunge. “Quindi – conclude Marra – per ora posiamo dire che nei molto anziani il covid è un fattore precipitante del disturbo cognitivo, cioè che potrebbe accelerare una malattia già presente ma che non rappresenta un fattore causale di malattia di Alzheimer”.