Tumore triplo negativo alla mammella: trattamento con avelumab riduce del 33% il rischio di morte
Lo studio, che ha coinvolto 70 centri in Italia e nel Regno Unito, è il primo a dimostrare che un trattamento di un anno con l’immunoterapico Avelumab al completamento del trattamento standard migliora la sopravvivenza di pazienti con carcinoma mammario triplo negativo ad alto rischio di recidiva.
Avelumab risulta migliorare significativamente dal punto di vista statistico la sopravvivenza globale delle pazienti. Infatti, 1 anno di terapia con Avelumab riduce del 33% il rischio di morte: in termini di beneficio assoluto, a 3 anni le pazienti vive sono l’84.8% del gruppo che ha ricevuto Avelumab rispetto al 76.3% delle pazienti in osservazione.
Per quanto riguarda la sicurezza di Avelumab, il profilo di tossicità è in linea con quanto già noto con l’immunoterapia e in particolare gli effetti collaterali immunorelati sono risultati prevalentemente di grado lieve.
Lo studio è stato promosso dal Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Oncologiche e Gastroenterologiche dell’Università di Padova e coordinato dalla prof.ssa Valentina Guarneri, con il supporto di Merck KGaA., in collaborazione con l’Unità di Ricerca Clinica dell’Istituto Oncologico Veneto, sotto la direzione del Dr. Gian Luca De Salvo ed è stato presentato ad ASCO dal Prof. Pierfranco Conte, già docente di Oncologia dell’Università di Padova.
«Questo studio conferma il ruolo dell’immunoterapia nel carcinoma mammario triplo negativo, e apre a una nuova possibile applicazione di questa strategia – dice prof.ssa Valentina Guarneri, docente di Oncologia dell’Università di Padova e direttrice dell’U.O.C. Oncologia 2 dell’Istituto Oncologico Veneto – Questo tipo di tumore rappresenta il sottotipo più aggressivo tra tutti i tumori della mammella e presenta il maggior rischio di recidiva. Lo studio A-BRAVE è uno studio di fase 3, randomizzato e multicentrico, che confronta 1 anno di terapia con l’anticorpo anti-PD-L1 Avelumab in pazienti con tumore triplo negativo ad alto rischio di recidiva, in coda al trattamento standard comprensivo di chemioterapia e chirurgia.»
Tra giugno 2016 e ottobre 2020 sono state arruolate 466 pazienti ritenute ad alto rischio di recidiva, nella maggior parte dei casi si tratta di pazienti che non avevano ottenuto una risposta completa alla chemioterapia ricevuta prima dell’intervento chirurgico.
«Lo studio A-BRAVE, oltre a fornire importanti risultati sul piano clinico, offre l’opportunità di condurre una serie di ricerche traslazionali che avranno l’obiettivo di identificare le pazienti che maggiormente beneficiano da questo trattamento. È stata infatti implementato nell’ambito del protocollo una estesa raccolta di campioni biologici su cui sono già in corso diverse analisi di biomarcatori» conclude la prof.ssa Maria Vittoria Dieci, docente del DiSCOG e responsabile scientifico del progetto finanziato da Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro.