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In Italia, ogni anno vengono diagnosticati circa 55.000 nuovi casi di tumore della mammella. Molti studi hanno dimostrato come una diagnosi precoce che riconosca il tumore prima che questo diventi palpabile o che dia sintomi specifici permette una terapia precoce più efficace e meno aggressiva.

In occasione della Giornata Mondiale contro il Tumore al Seno, che si celebra il 19 ottobre come istituito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, diventa quanto mai fondamentale ricordare l’importanza della prevenzione e degli screening e come questi possano davvero salvarci la vita.

Ed è proprio in questo ambito che si colloca lo studio multicentrico SOUND, coordinato dal dottor Oreste Gentilini, primario dell’Unità di Chirurgia della Mammella e responsabile della Breast Unit dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, di recente pubblicazione sulla prestigiosa rivista internazionale “JAMA Oncology”. Una ricerca innovativa che potrebbe incidere positivamente su una delle tecniche più utilizzate e diffuse nella chirurgia del tumore della mammella: l’asportazione e biopsia del linfonodo sentinella.

Il linfonodo sentinella gioca storicamente un ruolo importante nell’ambito del tumore alla mammella, soprattutto a scopi predittivi del follow up della malattia: “Il linfonodo sentinella rappresenta, infatti, un indicatore che fornisce informazioni sulla stima del rischio di ricaduta – spiega il dott. Gentilini -. Maggiore è il numero di linfonodi coinvolti, maggiore è il rischio di ricaduta. E questa informazione viene solitamente utilizzata per pianificare la terapia nel post intervento. 

Ma, mentre prima tutto si basava su questa stima, ora è tutto basato sulla biologia della malattia e meno sul rischio di recidiva, quindi il peso dell’informazione che si ottiene togliendo i linfonodi si sta progressivamente assottigliando andando, a mio avviso, sempre di più a scomparire”. 

Ed è proprio il linfonodo sentinella, il focus dello studio SOUND per il quale il gruppo di ricercatori, guidato dal dott. Gentilini, ha voluto dimostrare come è possibile, in casi specifici, fare a meno della rimozione del linfonodo per ottenere queste informazioni. 

“In questo studio randomizzato, abbiamo dimostrato come l’asportazione dei linfonodi possa essere completamente omessa senza comportare un aumento del rischio di ricaduta – spiega lo specialista -. 

Nelle donne di oltre 70 anni con tumori responsivi agli estrogeni, l’informazione che viene dal linfonodo sentinella generalmente non cambia il tipo di programma post-operatorio e quindi può essere evitata. 

Nelle donne di età più giovane, soprattutto prima della menopausa, l’informazione è ancora utile e credo sia ancora bene effettuare questo intervento.

Questo studio potrà cambiare la pratica clinica in 20-25% delle pazienti che su scala mondiale significa circa 500.000 donne all’anno”.

Ma non solo. Un altro dato importante emerso è quello legato alla prognosi. La guaribilità delle donne partecipanti è stata straordinariamente alta: infatti, solo il 2% delle quasi 1.500 pazienti reclutate nello studio hanno sviluppato metastasi a distanza”. 

Questo sottolinea, nuovamente, come la prevenzione e la diagnosi precoce rappresentino ancora una volta lo strumento realmente può fare la differenza. Riscontrare per tempo la neoplasia quando è ancora di dimensioni ridotte e nelle fasi iniziali è essenziale, poiché la quasi totalità delle donne va incontro a guarigione. 

Di contro, se la diagnosi viene effettuata a uno stadio più avanzato e con un tumore di dimensioni maggiori, i numeri cambiano, al netto delle nuove terapie. Farsi controllare non costa nulla, ma vuol dire tanto per noi e per la nostra salute.

Essendo comunque una procedura mininvasiva, la rimozione del linfonodo sentinella nella cavità ascellare rimane pur sempre un intervento chirurgico in una zona delicata, che presenta effetti collaterali talvolta fastidiosi, che possono avere una durata che va dalle 4 alle 8 settimane: alterazione della sensibilità del braccio; formazione di un sieroma; dolore post operatorio; difficoltà a muovere il braccio; fibrosclerosi; infezione e/o sanguinamento.

Tuttavia, è un intervento molto più limitato del tradizionale svuotamento ascellare che si faceva un tempo e che, se non è utile, può essere evitato. Questo oltretutto ha anche una rilevanza in termini di costi, di politica sanitaria, poiché è una procedura che prevede l’impiego di diversi specialisti (medico nucleare, patologo, chirurgo). Dal momento in cui questi dati entreranno a far parte delle linee guida, sicuramente vi sarà anche un grosso risparmio nell’ambito salute pubblica. 

“In questo ambito, solamente per quanto riguarda l’area chirurgica vi sono 11 studi attivi mentre in oncologia, ce ne sono più di 20 – conclude Gentilini -.

Abbiamo all’attivo diversi progetti importanti, uno dei quali in particolare è stato vincitore di un bando Horizon 2020, della Comunità europea, riguarda l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale come aiuto per il paziente ad acquisire maggiori informazioni sull’esito dell’intervento chirurgico e sul suo percorso di follow up di cui molto spesso non ha un’idea chiara. È difficile fornire a una persona, in poco tempo, l’idea di cosa succederà e come starà il suo corpo a seguito dell’intervento.

Questo studio, in partenza proprio nel mese di ottobre, utilizzerà appunto l’Intelligenza Artificiale attraverso un’applicazione alla quale il paziente potrà accedere per ottenere informazioni e per avere una previsione fotografica di quello che potrebbe essere il suo risultato finale nelle diverse declinazioni. Questo dovrebbe aiutare ad aumentare il livello di soddisfazione del paziente”.

Inoltre quest’anno, a rinforzare il messaggio di controllo e prevenzione, sarà Anna Tatangelo la testimonial di Ottobre Rosa dell’Ospedale San Raffaele che ha realizzato alcuni contenuti di sensibilizzazione che veicolerà attraverso i propri canali social.