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Mercer Marsh Benefits ha diramato i risultati italiani dello studio Health on Demand 2023, che rivela alcuni importanti spunti di riflessione sulla percezione da parte dei lavoratori della capacità di ascolto delle aziende rispetto al loro stato di salute.

Emerge un quadro di stress simile a quello dell’edizione precedente, ma anche una maggiore consapevolezza da parte dei lavoratori dei propri bisogni in termini di salute fisica e mentale.

“Le aziende oggi hanno la grande e concreta opportunità di giocare un ruolo decisivo nella vita delle persone: i lavoratori che saranno soddisfatti dell’offerta di soluzioni e servizi a supporto della salute e del benessere generale proposti dal proprio datore di lavoro saranno maggiormente ingaggiati, creando con la propria azienda un solido legame. I dati dello studio ci mostrano inoltre che oltre 3 su quattro dipendenti che hanno accesso a un piano di benefit aziendale ricco e strutturato dichiarano che non lasceranno la propria azienda. Questo dato è cresciuto dal 49% dell’edizione precedente.” ha dichiarato Sarah De Rocco, Chief Commercial Officer di Marsh McLennan.

Dopo la pandemia, il tema dei servizi alla salute offerti dalle aziende ha assunto importanza sempre maggiore, essendo strettamente correlato al grado di ingaggio nell’ambito dell’organizzazione. In altri termini, un lavoratore che non si sente “protetto” dall’azienda rispetto alla sua salute, fisica e mentale, proverà minore coinvolgimento e sarà meno produttivo. Già lo studio Global Talent Trends di Mercer evidenziava qualche mese fa che 1 impiegato su 3 sarebbe disposto a rinunciare a un aumento salariale per una maggiore copertura sanitaria per sé e per i propri familiari. Sempre la medesima analisi mostrava come a livello globale, l’88% delle aziende dichiara di abbracciare una cultura del benessere e dell’attenzione verso i dipendenti, eppure lo studio Health On demand, interrogando direttamente i lavoratori, evidenzia come solo il 66% dei lavoratori si sente effettivamente protetto, numero che scende a livello europeo fino al 58% e addirittura al 48% in Italia.

“Gli investimenti nei benefit rivolti alla copertura sanitaria e al supporto psicologico sono aumentati continuamente dal 2020 e oggi ci si interroga su come ridisegnare la strategia dei benefits perseguendo obiettivi di personalizzazione. Al contempo occorre dare la massima priorità alla stabilizzazione della spesa nel medio-lungo termine, anche alla luce della persistente crescita dell’inflazione generale e di quella sanitaria.” continua Sarah De Rocco. “È l’era degli inclusive benefits. Piuttosto che continuare a offrire gli stessi benefit del passato e con le stesse modalità, occorre ripensare e ridisegnare la propria strategia di benefit rivolta all’identificazione di personas, attraverso una serie di analisi approfondite dedicate a comprendere le esigenze della propria popolazione aziendale non solo per categoria ma anche in base all’attuale fase di vita in cui il lavoratore si trova e a ulteriori bisogni in una logica equa e inclusiva.”

In continuità rispetto allo studio condotto a fine 2021, i risultati del 2023 suggeriscono che ampliare a una più ampia fetta di popolazione aziendale la copertura sanitaria fa la differenza. In particolare in Italia, dove non solo la spinta inflazionistica ha eroso il potere di acquisto dei lavoratori, ma si assiste anche a un progressivo collasso del sistema sanitario nazionale, dove aumenta la difficoltà di accesso a esami diagnostici e a visite specialistiche, ma anche ad interventi chirurgici più o meno urgenti. In questo contesto, le aziende che sapranno pianificare strategicamente la propria offerta di benefit legati alla salute vinceranno la sfida dei talenti, risultando più attrattive per i lavoratori in entrata e anche per quelli considerati fondamentali nell’ambito dell’organizzazione esistente. Non solo: anche in ottica di obiettivi ESG che l’azienda si pone nel medio e lungo periodo, l’attenzione alla salute dei dipendenti si riflette in una purpose coerente e tangibile.

La ricerca esamina, in particolare, i bisogni espressi dalla generazione Z, che entro il 2025 rappresenterà il 27% della popolazione aziendale, e che mostra rilevanti differenze rispetto alla generazione X: per esempio dichiarano nel 62% dei casi di decidere di rimanere nell’azienda in cui lavorano in base ai benefit che ricevono. Sono lavoratori molto più attenti ai benefit offerti dall’azienda e influenzano profondamente le opinioni delle altre generazioni, cercando soluzioni innovative a problemi tradizionali. Nella ricerca di Oliver Wyman A – Gen – Z, emerge che il 50% dei lavoratori appartenenti a questa fascia di popolazione dichiarano di sentirsi stressati quotidianamente e 1.9 volte più esposti rispetto alla malattia mentale. Anche se in Italia i lavoratori più stressati risultano far parte della Gen X, il che potrebbe essere correlato all’impegno da caregiver spesso evidenziato da questi lavoratori.

Uno spazio importante viene dedicato dalla ricerca alle lavoratrici femminili, categoria particolarmente insoddisfatta rispetto alle forme di copertura sanitaria offerte dall’azienda. Alcune situazioni nelle quali le donne, nell’arco della vita, si trovano ad affrontare, come la maternità o la menopausa, sembrano vengano spesso ignorate. Un esempio eclatante è rappresentato dai servizi a supporto delle donne caregiver di adulti: solo il 15% dichiara di essere stato aiutato dal datore di lavoro, mentre il 62% afferma di avere bisogno di aiuto in questo ambito.  Non si hanno al momento stime ufficiali del numero delle donne caregiver in Italia, ma fa riflettere il fenomeno emerso con la pandemia, dove la maggioranza delle persone che hanno dovuto lasciare il lavoro per occuparsi dei propri familiari era donna.

Mentre è evidente che le crisi globali non possono essere controllate e gestite dalle aziende, i lavoratori si aspettano che il datore di lavoro agisca per proteggerli contro le conseguenze generate dal contesto economico e sociale. Questo rappresenta un’opportunità per le aziende, che possono tangibilmente dimostrare il proprio impegno attraverso i benefit offerti e la comunicazione stabile e ben pianificata che ne faciliti domanda e accesso. I lavoratori, infatti, interrogati sull’importanza dell’allineamento tra dichiarazioni pubbliche di sostegno alla propria popolazione aziendale ed effettive e concrete iniziative avviate, hanno elencato tra le aree più importanti la salute delle donne e cura/equità nei confronti delle persone diversamente abili. Salta all’occhio, inoltre, il cosiddetto protection gap in relazione alle categorie a basso reddito e lavoratori part-time, che risultano i meno protetti e quindi i meno propensi a creare un legame di fiducia con la propria azienda. Se consideriamo i lavoratori part time versus quelli a tempo pieno il Italia tale gap è del 17% ed esprime la fiducia di poter soddisfare i propri bisogni di cura in caso di necessità. Se invece consideriamo il target di lavoratori low e high income il gap in Italia sembra essere meno ampio, ma va tenuto conto che le percentuali di intervistati che hanno accesso alle soluzioni di benefit è decisamente inferiore rispetto al dato globale.

Un ultimo elemento importante da sottolineare è il ruolo che la comunicazione dei benefit assume in questo contesto: meglio si comunica ai dipendenti, utilizzando gli strumenti più appropriati in base al target definito, più renderemo accessibili le informazioni, generando un conseguente aumento della soddisfazione rispetto al datore di lavoro. Risulta infatti fondamentale che gli annunci esterni rispetto alle buone pratiche di protezione del personale rispecchino azioni concrete e strutturate.