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Dura solo una manciata di minuti ma è uno tsunami che esplode all’improvviso. Palpitazioni, sudorazione, vertigini, una tremenda sensazione di asfissia, e ancoratremore, nausea, dolore al petto. Gli attacchi di panico sono riferiti come un corto circuito di cuore, mente e corpo. Difficile conviverci quando sai che tutto questo può piombare così, comportando una totale perdita di controllo fino alla paura di morire. La prima volta soprattutto, dicono di pensare a un infarto, un ictus, un problema fisico grave. Si teme per la propria incolumità. Poi la diagnosi: crisi di panico.

Dal punto di vista fisiologico l’attacco di panico è considerato una sorta di “scatto a vuoto” della reazione attacco-fuga, un meccanismo neuromotorio innato negli esseri umani per salvarsi nei momenti di pericolo di morte. Ma in questo caso è un falso allarme, ci fa scattare come se ci trovassimo di fronte a un leone che ci sta venendo addosso quando in realtà non c’è nessun pericolo. «A livello biologico quello che succededipende dal GABA, un neurotrasmettitore che influenza la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna e ha un ruolo chiave nel controllo del Sistema nervoso autonomo» spiega la dottoressa Maddalena Castelletti, psicologa della clinica Magenta di Milano. «Il GABA controlla diverse funzioni: appetito, sonno, desiderio sessuale, tono dell’umore e prende parte alla modulazione del sistema nervoso simpatico e parasimpatico».

Ogni organo ha una doppia manifestazione: una in caso di attivazione del sistema simpatico, una in caso di attivazione del parasimpatico. Le due sono una l’opposta dell’altra, quando un sistema è attivato l’altro è inibito. In estrema sintesi il sistema simpatico attiva gli organi del corpo e mobilita le risorse per intervenire nelle situazioni di emergenza, quello parasimpatico ha invece il ruolo di ristabilire l’equilibrio una volta che il meccanismo ha reagito alla situazione di emergenza.«Uno stress emotivo, quando ricorrente, patologicocome nel caso dei Disturbi d’ansia, determina effetti clinicamente significativi sulla funzionalità cardiovascolare, attraverso il Sistema nervoso autonomo» continua la dottoressa Castelletti. «Questi effetti cambiano in base allo stato in cui ci si trova. In fase simpaticotonica si traducono in aumento di pressione e frequenza cardiaca; in parasimpaticotonia in diminuzione degli stessi parametri. Partendo da questo, io e la mia équipe abbiamo preso in carico una paziente di 20 anni con diagnosi di Disturbo di Panico, sottoponendola per 15 settimane a sedute cicliche di neuromodulazione con Neurofeedback e colloqui psicologici volti alla mentalizzazione e al self monitoring, monitorando l’intero andamento del percorso attraverso il Neurotest».

«Il neurofeedback è una tecnica di neuromodulazione che, attraverso un encefalogramma e la stimolazione con audio e video, permette al soggetto di regolare il proprio stato psicologico promuovendo una migliore capacità di controllo delle emozioni» spiega Castelletti.
Il trattamento di neurofeedback, si diceva, è stato monitorato attraverso il Neurotest. Cosa è? «È un questionario “self report”, messo a punto dal dottor Samorindo Peci, medico e ricercatore e dai suoi collaboratori, che si basa sulla raccolta di sintomi che il paziente percepisce» spiega la psicologa Castelletti. «Il test indaga l’andamento della sintomatologia a livello del sistema nervoso simpatico eparasimpatico e in relazione alle risposte date dal GABA in presenza di patologia. Tiene conto quindi dell’oscillazione di questi ritmi nella loro componente psicofisiologica, permettendo al medico di avere sempre un quadro completo e aggiornato sulle condizioni del paziente. In poche parole, è una cartina tornasole fondamentale per poter orientare le scelte terapeutiche. Tramite i risultati che mostra, il medico può aggiustare via via la mira verso l’obiettivo principale di ogni atto terapeutico: il ripristino della normotonia, cioè di uno stato di benessere».

Lo studio è ancora in fase di pubblicazione, ma i risultati sono stati già resi noti: «Alla fine delle 15settimane abbiamo ottenuto un’importante riduzione dei sintomi. I punteggi ottenuti dalle scale di valutazionesono tornati alla normalità con un ripristino della normotonia» conferma l’autrice dello studio. «Il Neurotest ha giocato un ruolo importantissimo. Ha permesso alla paziente di confrontare i suoi stati d’animo interni con l’ambiente che la circonda, favorendo al tempo stesso la relazione terapeutica tra sé e l’equipe medica». L’atto terapeutico si configura non più come semplici valori statistici ma pone il paziente, degno di ascolto da parte del clinico, al centro delle cure».