Print Friendly, PDF & Email

Si torna a parlare di cellule staminali del sangue nella sclerosi multipla. L’occasione, stavolta, è la pubblicazione di uno studio che mostra un’associazione tra il trapianto di staminali ematopoietiche e un rallentamento nella progressione della disabilità nelle persone con sclerosi multipla secondariamente progressiva, con attività di malattia. 

Lo studio, sostenuto da AISM e la sua Fondazione italiana sclerosi multipla, è stato pubblicato su “Neurology”, dal team di Matilde Inglese, responsabile del Centro sclerosi multipla – dell’Università di Genova e dell’IRCCS Ospedale San Martino. 

Come ricordano gli autori, le evidenze sul possibile impiego delle staminali ematopoietiche contro la sclerosi multipla, per le forme refrattarie ai trattamenti, si stanno accumulando da un po’. 

Il razionale è questo: le cellule ematopoietiche della persona vengono prelevate e re-infuse dopo immunosoppressione, nell’intento di “resettare” e rendere più tollerante il sistema immunitario, spiegano gli esperti. Nella sclerosi multipla, infatti, si osserva un’anomala risposta del sistema immunitario verso componenti propri dell’organismo: un trapianto di staminali ematopoietiche autologhe dopo immunosoppressione mira ad eliminare le cellule reattive, rinnovando il sistema immunitario. 

Una strategia finora riservata a persone che non rispondono ai trattamenti, con malattia attiva, soprattutto giovani con forme a ricadute e remissione. «Alcune evidenze però, unite all’assenza di terapie soddisfacenti per le forme progressive di malattia, continua il dottor Boffa, autore dello studio, hanno portato a guardare al trapianto di staminali ematopoietiche come una possibile strategia anche per questi pazienti, dove sono occasionalmente state somministrate come terapia off-label con l’approvazione del comitato etico di competenza». 

Per capire gli effetti del trapianto di staminali e confrontarli con quelle di alcuni trattamenti farmacologici, i ricercatori hanno confrontato l’andamento della malattia in alcune persone che avevano ricevuto trapianto di staminali autologhe e persone in trattamento con diverse terapie modificanti la malattia, inclusi nel Registro italiano della sclerosi multipla. I trattamenti inclusi erano: beta-interferone, azatioprina, glatiramer acetato, mitoxantrone, fingolimod, natalizumab, metotressato, teriflunomide, ciclofosfamide, dimetilfumarato e alemtuzumab. 

«I risultati sono da prendere con cautela – precisa Inglese – parliamo di uno studio di real life, retrospettivo e non randomizzato, che non ha tenuto in considerazione l’uso nel gruppo di controllo di farmaci più innovativi, come ocrelizumab, per esempio. Ma con tutte le limitazioni del caso, i dati suggeriscono che il trapianto di staminali sembra ritardare la progressione della disabilità rispetto ai pazienti in trattamento farmacologico». A cinque anni la disabilità non era progredita per il 62% delle persone trapiantate, contro il 46% di quelle in altro trattamento farmacologico. Ma non solo: i pazienti che avevano ricevuto le staminali mostravano più miglioramenti in termini di disabilità rispetto agli altri: il 19% a cinque anni nel primo gruppo rispetto al 4% dell’altro.  

Lo studio al momento indica come il trapianto di staminali abbia il potenziale di rallentare la progressione della malattia nelle persone con forme secondariamente progressive. «Saranno necessari ora studi prospettici, come Net-MS e studi simili in corso in giro per il mondo, per capirne però il reale potenziale, soprattutto per le forme progressive, dove le opzioni terapeutiche scarseggiano – conclude Inglese – i dati sono incoraggianti e mostrano che il trapianto di cellule ematopoietiche autologhe, in persone con grande attività di malattia secondariamente progressiva, potrebbero rallentare la progressione e l’accumulo della disabilità rispetto ad altre terapie in pazienti con stesse forme di malattia». 

«La ricerca sulle cellule staminali è una ricerca che in Italia viene da lontano, grazie anche al sostegno che AISM con la sua Fondazione ha garantito a questo importante filone da oltre 20 anni. È stato un percorso lungo, che proseguirà in futuro per dare le conoscenze che ancora servono, come evidenzia anche questo studio. Ma è questa la strada giusta per la ricerca di eccellenza, l’unica che garantisce risposte concrete alle persone, e che in questo caso fornisce nuove evidenze per le forme progressive, quelle per le quali le risposte sono più urgenti. Questo studio è stato reso possibile per il confronto di terapie dal Registro italiano sclerosi multipla, promosso e gestito dalla nostra Fondazione e dalla rete dei centri clinici per la SM della Società Italiana di Neurologia. Inoltre la nostra fondazione sta finanziando in questo momento lo studio multicentrico di fase 3, lo studio Net-MS», dice il prof Mario Alberto Battaglia, Presidente FISM.