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Le società farmaceutiche Janssen di Johnson & Johnson hanno annunciato i risultati di follow-up a lungo termine di due studi pivot di fase 3 su Imbruvica in pazienti con leucemia linfatica cronica, un tipo di linfoma non Hodgkin che rappresenta la forma di leucemia più comune negli adulti. Un set di dati, i risultati dello studio RESONATE a un follow-up mediano a 65,3 mesi, ha dimostrato che il trattamento con ibrutinib in monoterapia ha portato a vantaggi in termini di sopravvivenza libera da progressione rispetto a ofatumumab nei pazienti LLC già trattati in precedenza, con una PFS mediana rispettivamente di 44,1 mesi vs. 8,1 mesi. Un beneficio continuativo in termini di PFS con ibrutinib è stato osservato in tutta la basale della malattia e delle caratteristiche dei pazienti, inclusi quelli con rischio elevato di malattia definito da analisi genomica. La sopravvivenza generale mediana era di 67,7 mesi nel braccio ibrutinib e di 65,1 mesi nel braccio ofatumumab, senza troncamento o aggiustamento per il passaggio da ofatumumab a ibrutinib. In questo follow-up a lungo termine, inoltre, non sono stati identificati nuovi eventi legati alla sicurezza. I risultati dello studio RESONATE sono stati presentati in data odierna al 55° congresso annualedell’American Society of Clinical Oncology di Chicago, e sono stati scelti per l’evento Best of ASCO 2019 Meetings, che evidenzia i risultati scientifici più avanzati e riflette la ricerca di primo piano in campo oncologico.

Il secondo set di dati, i risultati dello studio RESONATE-2 a un follow-up mediano di cinque anni – hanno dimostrato valori di PFS durevoli con ibrutinib in monoterapia vs. clorambucile nei pazienti LLC non trattati in precedenza, inclusi quelli con rischio elevato di malattia definito da analisi genomica. Il vantaggio in termini di OS risultava durevole anche nei pazienti trattati con ibrutinib vs. clorambucile. Non sono inoltre stati osservati nuovi problemi per quanto riguarda la sicurezza. I dati dello studio RESONATE-2 saranno illustrati in toto nel corso di una presentazione orale al 24° congresso della European Hematology Association di Amsterdam il giorno venerdì 14 giugno.

“Dalla sua prima approvazione ottenuta in Europa nel 2014, ibrutinib ha ridefinito i paradigmi di trattamento per la LLC; i risultati di questi studi offrono ulteriori prove, ai medici come ai pazienti, dei benefici e della tollerabilità a lungo termine di ibrutinib come agente singolo”, ha dichiarato Peter Hillmen, MB ChB, professore di Ematologia sperimentale e consulente ematologo onorario presso i Leeds Teaching Hospitals NHS Trust, in Regno Unito, nonché ricercatore in entrambi gli studi. “Il follow-up non solo conferma la sopravvivenza libera da progressione e la sopravvivenza generale legate a ibrutinib, ma spesso evidenza il miglioramento, nel tempo, della qualità dei tassi di risposta che da parziali diventano completi”.

“Ibrutinib ha già influito su oltre 140.000 pazienti, e gli studi di follow-up a lungo termine RESONATE e RESONATE-2 forniscono dati importanti a supporto del suo uso continuativo nella gestione efficace della LLC”, ha dichiarato il Dr. Patrick Laroche, responsabile dell’area di ematologia terapeutica per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa di Janssen-Cilag France. “Siamo entusiasti di esplorare il modo ottimale in cui questo inibitore della BTK può continuare a migliorare la vita delle persone affette da LLC, sia in monoterapia che nei più recenti regimi in combinazione, e come alternativa alla chemioterapia intensiva”.

Ibrutinib, un inibitore della tirosin-chinasi di Bruton, è sviluppato e commercializzato congiuntamente da Janssen Biotech, e da Pharmacyclics LLC, una società del gruppo AbbVie.

Lo studio RESONATE ha valutato pazienti LLC già trattati in precedenza randomizzati per ricevere ibrutinib 420 mg per via orale una volta al giorno fino alla progressione della malattia oppure ofatumumab per via endovenosa fino a 24 settimane; rispettivamente l’86% e il 79% rientravano nella fascia di popolazione con rischio elevato di malattia definito da analisi genomica. Gli endpoint di efficacia a lungo termine sono stati valutati dai ricercatori.

Con un follow-up fino a sei anni, il trattamento esteso con ibrutinib ha dimostrato un’efficacia a lungo termine nei pazienti LLC già trattati in precedenza, inclusi quelli con caratteristiche genomiche a rischio elevato, senza nuovi segnali nell’ambito della sicurezza nel corso della terapia a lungo termine.

Il 68% dei pazienti trattati con ofatumumab è passato alla terapia con ibrutinib. Benefici statisticamente significativi in termini di PFS sono stati ottenuti con ibrutinib vs. ofatumumab, con una PFS mediana di 44,1 mesi vs. 8,1 mesi (rapporto di rischio; tali benefici erano omogenei in tutti i sottogruppi del basale. La PFS mediana nella popolazione con rischio elevato di malattia definito da analisi genomica era di 44,1 mesi vs. 8,0 mesi con ibrutinib vs. ofatumumab.

La OS mediana era di 67,7 mesi nel braccio ibrutinib e di 65,1 mesi nel braccio ofatumumab, senza troncamento o aggiustamento per il passaggio da ofatumumab a ibrutinib. Anche la regolazione dell’analisi della sensibilità per il crossover basata sul metodo RPSFT ha dimostrato benefici prolungati in termini di OS con ibrutinib vs. ofatumumab. Il tasso di risposta globale con ibrutinib era del 91%, con l’11% che ha ottenuto una risposta completa. La durata mediana del trattamento con ibrutinib era di 41 mesi; il 40% dei pazienti ha ricevuto ibrutinib per oltre quattro anni.

Il profilo degli eventi avversi con ibrutinib si è confermato in linea con gli studi precedenti. La prevalenza di ogni EA di grado 3 o superiori con ibrutinib si è ridotta dopo il primo anno, restando poi stabile nel tempo. Tutti gli EA, rispettivamente di ogni grado e di grado 3 e superiori, comprendevano ipertensione e fibrillazione atriale; emorragie importanti si sono verificate nel 10% dei casi. I motivi più comuni per la sospensione del trattamento con ibrutinib prima del termine dello studio sono stati la progressione della malattia e gli EA.

Lo studio RESONATE-2 ha valutato i pazienti LLC di almeno 65 anni non trattati in precedenza, con o senza delezione di 17p, che hanno ricevuto o ibrutinib 420 mg per via orale una volta al giorno in via continuativa, fino alla progressione della malattia o a livelli inaccettabili di tossicità, o clorambucile 0,5–0,8 mg/kg per via orale fino a 12 cicli.

I risultati di questo follow-up a cinque anni hanno dimostrato che ibrutinib in monoterapia ha presentato risultati in termini di PFS e OS prolungati nel tempo per i pazienti LLC vs. clorambucile, inclusi quelli con caratteristiche genomiche a rischio elevato. Oltre la metà dei pazienti continua il trattamento continuativo a lungo termine con ibrutinib. Non sono inoltre stati identificati nuovi problemi relativi alla sicurezza.

A un follow-up mediano di 60 mesi, i benefici in termini di PFS risultavano costanti nei pazienti trattati con ibrutinib vs. clorambucile. I benefici in termini di OS sono risultati costanti anche nei pazienti trattati con ibrutinib vs. clorambucile. Ibrutinib ha migliorato la PFS rispetto a clorambucile nei pazienti senza mutazioni di IGHV e nei pazienti con delezione di 11q. Il 57% dei pazienti, inoltre, è passato da clorambucile a ibrutinib a seguito della progressione della malattia.

Come gruppo composito, i pazienti con profilo genomico a rischio elevato presentavano risultati migliori con ibrutinib vs. clorambucile. Con ibrutinib, i valori di ORR inclusivi di risposta parziale con linfocitosi erano del 92% e il tasso di CR/CRi è cresciuto nel tempo fino al 30%.

Gli EA più comuni di grado 3 o superiori includevano neutropenia, polmonite, ipertensione, anemia, iponatremia, fibrillazione atriale e cataratta, con tassi in riduzione nel tempo per la maggior parte degli eventi. Le riduzioni di dose dovute a EA di grado 3 o superiori si sono ridotte nel tempo. I benefici legati al trattamento con ibrutinib sono continuati nel 58% dei pazienti che proseguivano con la terapia nel periodo di effettuazione di questa analisi.