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Qualcuno vive al buio per resistere all’emicrania, molti non riescono ad accavallare le gambe, altri non possono piegarsi per raccogliere un oggetto o prendere in braccio il proprio bambino.

In Europa sono più di 100 milioni le persone che soffrono di dolore cronico, spesso per anni, un esercito di pazienti che cercano sollievo ricorrendo a terapie farmacologiche, trattamenti manuali, soluzioni specialistiche, interventi chirurgici. Spesso inascoltati e sottovalutati dagli stessi medici, con una sostanziale “banalizzazione”dei problemi. Si stima, infatti, che buona parte dei pazienti attenda quasi 8 anni prima di ricevere una cura adeguata, laddove per una diagnosi specifica possono trascorrere quasi 5 anni!

In termini clinici il dolore cronico è definito un dolore costante, che dura più di tre mesi, in assenza di una patogenesi primaria in atto, e che può avere effetti devastanti sulla vita quotidiana, compromettendo attività lavorative, relazioni interpersonali, mobilità. Lo conferma il dottor William Raffaeli, Presidente della Fondazione ISAL, una delle istituzioni impegnate nella lotta al dolore cronico, ricordando che solo in Italia questo universo sofferente è costituito da oltre 13 milioni di pazienti di varie età, con il 56% rappresentato da donne che possono soffrire di molte patologie contemporaneamente, con una forte incidenza di fibromialgia, vulvodinia ed emicranie.

Il dolore cronico rappresenta non solo un dramma individuale ma, anche, un grave problema sociale che non può più essere ignorato: “Si tratta” – commenta Raffaeli – “diuna malattia grave che va curata, e non sopportata come ogni altra malattia!  Se non affrontata induce nei malati una severa disabilità bio-psico-sociale, con inabilità a svolgere le attività quotidiane, insonnia, depressione ed isolamento sociale, basti pensare che Il 17% delle persone con dolore cronico escono dal mondo del lavoro. Le cure attuate presso i Centri specialistici di Terapia del Dolore permettono, nell’80% delle persone, il recupero di una buona salute senza sofferenza. In Italia ogni ospedale provinciale è attrezzato per prendersi cura del dolore grazie all’applicazione della legge 38/2010”.     

Nonostante la presenza di Centri specialistici dedicati al dolore, più del 35 % delle persone affette da dolore cronico giunge però all’osservazione solo dopo un lungo peregrinare, con visite e interventi senza beneficio, spesso “indirizzati” dal passaparola di conoscenti e non da specialisti o medici di famiglia.

Conclude Raffaeli: “Per sensibilizzare i cittadini sul tema del dolore cronico e informarli sulle numerose possibilità di cura – che non significa assumere un semplice analgesico ma che può richiedere anche l’uso di procedure interventistiche quali i cosiddetti “pacemaker  midollari” – ogni anno dal 2009 Fondazione  ISAL  effettua la Campagna “ Cento Citta contro il Dolore “,  giunta alla XIII edizione”.

Le enormi difficoltà incontrate dai pazienti nel periodo di emergenza Covid sono evidenziate anche dalla Survey europea condotta in maggio – giugno 2021. Nel sondaggio è stato chiesto a 2000 persone in Italia, Germania, Spagna e UK che hanno sofferto di dolore cronico in questo ultimo anno, di valutare l’impatto della pandemia Covid19 sulla loro salute e la loro esperienza.

Sostenuta da Boston Scientific, la survey “NOW YOU HEAR ME” ha dato voce a migliaia di pazienti sofferenti e inascoltati che durante la pandemia hanno avuto grandi difficoltà ad accedere a terapie e controlli rinunciando, nella maggior parte dei casi, a fare ricorso alle cure, con effetti devastanti. Attraverso testimonianze dirette la campagna ha fatto il punto sulla gravissima situazione del dolore cronico in Europa, incoraggiando le persone a “non darsi per vinte” e ad informarsi sulle soluzioni terapeutiche disponibili fra cui, per i casi di particolare gravità, i nuovi sistemi di stimolazione del midollo spinale.

I dati della Survey non lasciano dubbi sulla situazione Covid 19 e sul mancato ricorso alle cure, soprattutto da parte del pubblico femminile. Le donne hanno evidenziato un elevato livello di stress e ansia; il 33,8% delle pazienti ha dichiarato che questo è stato il principale motivo di rinvio di una visita medica, rispetto al 25,4% degli uomini. Le donne, inoltre, hanno espresso maggiori preoccupazioni per il futuro a causa del dolore cronico. Gli uomini sono stati invece più disponibili alle visite virtuali/online: il 29,2% si è dichiarato d’accordo sull’efficacia delle visite online, assimilandole a quelle in presenza, mentre solo il 23,2% delle donne ha espresso questa convinzione. Diversi gli approcci anche in base al livello di istruzione e alla familiarità dei pazienti con le tecnologie digitali. Dalla Survey è emerso, per esempio, che i pazienti più anziani colpiti da dolore cronico sono stati meno propensi a rimandare le visite mediche: il 35,2% di quelli intorno a 55 anni o di età superiore non ha mai rinunciato o rinviato una prestazione sanitaria, rispetto al 28,5% dei pazienti fino a 34 anni e al 28,9% di quelli compresi tra i 35 e 54 anni. Da ultimo: sebbene le visite in presenza rimangano le preferite da tutti i gruppi di età, gli intervistati più giovani sono stati più propensi ad accettare gli interventi online, ritenendo che una visita virtuale sia comunque efficace.