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Il dolore nel paziente che sta svolgendo un percorso di riabilitazione è un fattore con cui purtroppo bisogna fare spesso i conti. Lo sanno bene, oltre ovviamente ai pazienti stessi, i fisioterapisti che a volte sono messi alla prova e devono quindi dar fondo a tutta la loro esperienza e abilità per perseverare nel trattamento, rassicurando il paziente e conquistando la sua collaborazione e fiducia, con gradualità e pazienza.
Se questo vale per tutti, ancora di più per i pazienti con gli esiti di un ictus e che necessitano di riabilitazione degli arti superiori. D’altro canto, se non trattato adeguatamente, questo dolore è destinato ad aumentare nel corso del tempo, con la conseguenza che il paziente sarà meno invogliato a muovere l’arto dolorante e quindi a sottoporsi a riabilitazione.

A trattare questo tema, è uno studio dal titolo “Il dolore alla spalla nel paziente subacuto post-ictus e la sua correlazione con la riabilitazione dell’arto superiore dopo un trattamento robotico e convenzionale”, pubblicato proprio in questi giorni su “International Journal of Stroke”, una rivista scientifica internazionale, tra le più prestigiose a livello mondiale nell’ambito dell’ictus. Ne sono autori, alcuni medici e ricercatori dei Centri della Fondazione che avevano già partecipato allo studio multicentrico sull’efficacia della riabilitazione robotica rispetto alla riabilitazione tradizionale. Tra loro, oltre al Direttore Scientifico, Maria Chiara Carrozza, Irene Aprile, neurologa, responsabile medico del Centro Don Gnocchi di Roma e coordinatrice del Gruppo di Riabilitazione Robotica e Tecnologica della Fondazione: «dall’analisi condotta su 224 nostri pazienti, è emerso che il dolore è presente nel 30% dei casi. Parliamo di una popolazione molto omogenea di pazienti osservata entro i 6 mesi dall’evento acuto».

Come si sviluppa questo dolore e da cosa è dovuto? «Il paziente dopo un ictus ha un’emiparesi che colpisce gli arti inferiori e superiori – spiega Irene Aprile – e il dolore si sviluppa soprattutto a livello dell’arto superiore ed è legato a diversi fattori, tra cui innanzitutto l’immobilità dell’arto stesso: spesso ci si focalizza sulla deambulazione, quindi sul far riprendere il cammino al paziente, ma si trascura la mobilità dell’arto superiore colpito, così da rendere nel tempo le articolazioni più rigide, con scarsa tonicità muscolare ecc. Si tratta di un dolore nocicettivo, cioè legato all’articolazione. Accanto a questo, si sviluppa, non sempre ma in misura significativa, un dolore legato alla componente neuropatica, strettamente dipendente all’ictus. Quello che si avverte è un forte dolore alla spalla, spesso irradiato a tutto l’arto superiore, come una specie di scossa elettrica o calore».
Ci sono altri dati molto significativi che sono emersi da questo studio, come sottolinea Irene Aprile: «abbiamo notato una significativa prevalenza della percezione del dolore nelle donne, rispetto agli uomini; che si tratti di dolore di natura neuropatica, o nocicettiva. Questo è un dato significativo per la cosiddetta medicina di genere a cui anche noi, ricercatori del Don Gnocchi, stiamo lavorando. E’ qualcosa che avevamo già osservato in altre patologie e che qui trova ulteriore conferma. Probabilmente entrano in gioco componenti biologiche e fattori psicosociali; può anche trattarsi della modalità stessa di raccontare e riferire il dolore ad essere diversa e dipendenti da fattori socio culturali».
Un altro dato invece riguarda i pazienti con “neglet”, che manifestano incapacità a prestare attenzione alla parte sinistra del corpo e all’ambiente circostante; lo studio ha messo in evidenza che pazienti con questa caratteristiche sviluppano un dolore maggiore di altri: difficile stabilirne le cause, però è significativo che il dolore è più forte, in presenza di disturbi sensitivi.

Come intervenire allora? C’è sicuramente un trattamento del dolore che passa attraverso i farmaci, ma quello che lo studio dimostra è l’efficacia dei trattamenti riabilitativi, siano essi con tecniche tradizionali o robotiche, con risultati che si consolidano nel tempo e che sono più significativi soprattutto in quei pazienti che soffrono di dolore definito, nelle scale di valutazione, da moderato a severo. Per usare uno slogan, maggiore e di qualità è la riabilitazione, meno si sente il dolore e meno si sente nel tempo, anche a mesi di distanza dalla fine delle terapie. Nello studio non si registrano grandi scostamenti fra trattamenti tradizionali e trattamenti robotici, anche se – e questo a quanto ci ha anticipato Irene Aprile potrebbe essere l’oggetto di uno studio prossimo futuro – i trattamenti robotici hanno il vantaggio di superare l’approccio soggettivo di un terapista verso il paziente che sente dolore: un approccio che potrebbe essere o troppo blando, o troppo deciso. Questo non significa che il ruolo del fisioterapista sia superato, tutt’altro: la bravura e l’esperienza del terapista servono proprio a inquadrare in maniera corretta le caratteristiche del paziente, a partire dal suo quadro clinico e dalla sua percezione del dolore, modulando i dispositivi robotici, così da individuare dei protocolli di intervento in maniera ancora più personalizzata, cogliendo quindi nella macchina un’opportunità e un supporto in più per fare meglio il proprio lavoro.