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L’epatite Delta è una malattia molto aggressiva, la forma di epatite cronica più aggressiva tra tutte quelle conosciute. Al mondo ci sono fra i 10 e i 20 milioni di pazienti affetti da epatite cronica D di cui circa 10mila sono in Italia. Per queste persone fino a qualche mese fa non esistevano farmaci efficaci e specifici. Oggi, però, per la prima volta in 45 anni, ci sono novità terapeutiche importanti, che potrebbero essere in grado di modificare la storia naturale della malattia. Novità che saranno al centro della discussione del primo Congresso Internazionale per la cura dell’epatite Delta – il Delta Cure International Meeting – organizzato il 6 e 7 ottobre a Milano da Pietro Lampertico, Professore Ordinario di Gastroenterologia all’Università degli Studi di Milano e Direttore dell’Unità di Gastroenterologia e Epatologia del Policlinico di Milano.

L’Italia e Milano in particolare sono sempre stati in prima linea contro l’epatite Delta per diversi motivi. Prima di tutto perché la scoperta di HDV, il virus che provoca questa epatite, nel 1977, si deve a un ricercatore italiano, il Prof. Mario Rizzetto che proprio durante il Congresso verrà premiato per le sue ricerche pionieristiche. In tutti questi anni, inoltre, la ricerca italiana ha continuato a svolgere un ruolo molto importante ampliando le conoscenze sul virus, sulla sua epidemiologia e storia naturale ma soprattutto prendendo parte alle sperimentazioni – tra i primi paesi al mondo – dei nuovi farmaci anti-epatite Delta. “La scelta di Milano in effetti non è casuale, non solo per motivi storici ma anche di grande attualità – dichiara il Prof. Pietro Lampertico. – Negli ultimi due anni, insieme ai colleghi tedeschi e al Professor Heiner Wedemeyer, siamo stati i primi a dimostrare l’efficacia e la sicurezza di un nuovo farmaco per la cura dell’epatite Delta, bulevirtide, nello specifico  siamo stati i primi a dimostrare l’efficacia del trattamento a un anno e a tre anni, a dimostrarne l’efficacia nei pazienti italiani con malattia avanzata, e, prossimamente, pubblicheremo anche il primo caso al mondo di guarigione da epatite Delta grazie a questo farmaco”, sottolinea Lampertico.

Il virus dell’epatite Delta, HDV, è un virus molto particolare: si tratta infatti di un virus difettivo, che ha bisogno di una porzione di un altro virus, quello dell’epatite B, per potersi replicare. “Quando parliamo di pazienti con epatite Delta, quindi, parliamo sempre di persone che hanno già un’altra epatite virale, l’epatite B. Nel mondo si ritiene che circa il 5% di tutti i soggetti con l’epatite B abbiano anche l’epatite Delta, in numeri assoluti tra i dieci e i venti milioni”, spiega Lampertico. L’epatite Delta ha anche un’altra caratteristica, legata alla storia naturale dell’infezione: questa forma di epatite è estremamente aggressiva. La probabilità che i pazienti con epatite Delta sviluppino una cirrosi, uno scompenso epatico, un’insufficienza epatica, il tumore primitivo del fegato o debbano essere trapiantati è molto più elevata rispetto ai pazienti che hanno la sola epatite B o, per esempio, per confronto, la sola epatite C.

“Di fronte a questa malattia aggressiva la medicina è stata a lungo senza strumenti: negli ultimi trent’anni non abbiamo avuto alcun farmaco specificamente dedicato, e approvato da FDA o EMA, per questa malattia”, sottolinea ancora Lampertico “La grande novità di questi ultimi due anni, ma soprattutto dell’ultimo anno, è la disponibilità, per la prima volta in Europa, di un farmaco approvato da EMA, che si chiama bulevirtide, che è un entry inhibitor, che blocca l’entrata del virus Delta all’interno delle cellule epatiche. Durante il congresso parleremo di questo farmaco ma anche di studi di fase 3 in corso con altri farmaci con un meccanismo d’azione diverso, e quindi potenzialmente complementari. E poi delle molecole in studio per pazienti HBV monoinfetti che potrebbero essere efficaci anche nei pazienti con epatite Delta”.

Il Congresso rappresenta quindi un’occasione unica per presentare le novità in tutti i campi legati all’epatite Delta, tra cui la diagnostica. “Purtroppo, il test con cui si identifica il materiale genomico circolante del virus HDV non è diffuso su tutto il territorio ed è al momento possibile solo in alcuni centri in Italia; inoltre, non in tutti i pazienti HBsAg positivi viene controllata la presenza del virus dell’epatite Delta mediante ricerca degli anti-HDV”, sottolinea Lampertico. “Ecco perché è importante, anche dal punto di vista diagnostico, condividere tutte le informazioni disponibili e la necessità di una diagnosi più accurata. Proprio l’obiettivo che vogliamo raggiungere con questo Congresso”.