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Ogni giorno nel 2016 sono morti nel mondo 15mila bambini al di sotto dei cinque anni, il 46% dei quali – circa 7mila bambini – prima di raggiungere il 28esimo giorno di vita. Complessivamente, nell’ultimo anno 5,6 milioni di bambini sono morti prima di compiere il quinto anno di età, ma il numero di vittime tra i più piccoli è in costante diminuzione: nel 2000, infatti, perdevano la vita prima dei cinque anni 9,9 milioni di bambini, in poco più di quindici anni sono stati salvati 50 milioni di bambini in tutto il mondo.
Sono i dati del Levels and Trends in Child Mortality 2017, il nuovo rapporto sulla mortalità infantile diffuso oggi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui se si arrestasse il positivo trend di mortalità infantile, dovuto ad un più alto livello globale di prevenzione e assistenza complessivamente garantito dai programmi internazionali, tra il 2017 e il 2030 morirebbero circa 30 milioni i bambini.
“Siamo sulla strada giusta – commenta il Vice Direttore Generale dell’OMS per la Salute della Famiglia, delle Donne e dei Bambini Flavia Bustreo – il lavoro che con grande fatica siamo riusciti a portare avanti negli ultimi quindici anni sta dando i suoi frutti. Ma non dobbiamo abbassare la guardia, per garantire il diritto alla salute universale è necessario essere al servizio delle famiglie. Prevenire le malattie, favorire il loro benessere finanziario e il potere economico, assicurare l’accesso ai servizi sanitari. Migliorare la qualità dei servizi e garantire una opportuna assistenza sanitaria durante la gravidanza e il parto siano azioni di priorità globale”.
Con gli attuali trend, stima l’OMS, tra il 2017 e il 2030 perderanno la vita prima dei cinque anni 60 milioni di bambini, la metà dei quali entro il primo mese. La maggioranza delle morti neonatale si verificano principalmente in due regioni, il 39% in Asia del sud, il 38% nell’Africa sub sahariana, mentre circa la metà delle morti sono riscontrate in soli 5 paesi: India (24%), Pakistan (10%), Nigeria (9%), Repubblica Democratica del Congo (4%) e Etiopia (3%).
Secondo le stime del rapporto, sempre più vite possono essere salvate riducendo il livello globale di diseguaglianza: se tutti i paesi raggiungessero i livelli di mortalità infantile dei paesi più sviluppati, potrebbero essere evitate l’87% delle morti prima dei cinque anni e 5 milioni di bambini sarebbero salvi ogni anno. Polmonite e diarrea rappresentano le principali cause di morte infantile, con una incidenza rispettivamente del 16% e dell’8%, mentre complicazioni durante la gravidanza e il parto rappresentano il 30% delle cause di morte neonatale.
È possibile prevenire le cause prevedibili di morte assicurando un adeguato accesso ai servizi sanitari durante la gravidanza e il parto, l’accesso ai protocolli di vaccinazione e l’attuazione di quelli dell’allattamento materno. Infine, garantire a livello globale l’accesso all’acqua e ai servizi igienici, da cui restano ancora esclusi i paesi più poveri.
“Abbiamo fatto molti progressi – conclude Flavia Bustreo – ma sebbene dal 2000 l’impegno congiunto dei governi, delle organizzazioni internazionali e dei partner abbia contribuito a salvare dalla morte prematura 50 milioni bambini in tutto il mondo, le diseguaglianze ancora persistono. Eliminare le cause prevedibili di morte non è solo un problema di salute, ma un problema di diritti. Se vogliamo progredire, dobbiamo concentrarci sulla riduzione delle disuguaglianze, lavorando insieme su tutti i settori”.