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Si chiamano FAP, abbreviazione per Fibro-Adipogenic Progenitors. Sono cellule da tempo note per il fatto che in presenza di un danno muscolare si attivano, stimolando le cellule staminali nella rigenerazione del tessuto danneggiato. Da oggi sono tuttavia destinate a rientrare anche nella lista nera dei fattori che contribuiscono alla degenerazione neuromuscolare in malattie come la sclerosi laterale amiotrofica e l’atrofia muscolare spinale, ma anche nel caso di lesioni traumatiche del midollo spinale.
A questa scoperta sono giunti i ricercatori dell’IRCCS Santa Lucia di Roma e del Sanford Burnham Prebys Medical Research Institute di San Diego in California, in uno studio su modelli animali e tessuti umani, pubblicato su “Nature Cell Biology”.
Le FAP sono distribuite negli spazi interstiziali tra le miofibre e grazie alla loro capacità di adattarsi a diverse condizioni ambientali, permettono normalmente al muscolo di reagire a perturbazioni esterne, come le lesioni muscolari. I ricercatori hanno però ora osservato che in muscoli denervati, ovvero muscoli che hanno perso il collegamento con il sistema nervoso e per questo subiscono una progressiva degenerazione in termini di massa e di attività, le FAP attivano una risposta di adattamento patologica. È il caso appunto delle gravi atrofie muscolari provocate da malattie neurodegenerative come SLA e SMA e da lesioni traumatiche del midollo spinale.
“Nel caso di muscoli denervati – spiega il dottor Lorenzo Puri, direttore del gruppo di ricerca italo-americano e coordinatore dello studio – ci siamo accorti che le FAP aumentano di numero e attivano una risposta che riduce progressivamente le dimensioni del muscolo e tende a sostituirne la massa contrattile con tessuto fibrotico. Da alleate dell’organismo le FAP finiscono in pratica per trasformarsi in sabotatori”.
I ricercatori hanno quindi approfondito il meccanismo di segnalazione cellulare che sta alla base di questo processo patologico e hanno osservato che in un muscolo denervato le FAP avviano la produzione di interleuchina 6, una citochina pro-infiammatoria che attiva il fattore di trascrizione denominato STAT3. “A sua volta STAT3 sostiene la produzione di IL6, generando così un processo che si autoalimenta e porta alla distruzione del muscolo – spiega il dottor Puri –. Abbiamo provato ad interrompere questo circuito con farmaci capaci di bloccare l’attività di Il6 e STAT3 e siamo riusciti a prevenire atrofia e fibrosi in modelli di denervazione traumatica acuta del muscolo e durante la progressione della SLA. Il nostro prossimo obiettivo è riuscire a manipolare farmacologicamente le FAP al fine di salvaguardare l’integrità delle giunzioni muscolari”.
Aver scoperto il collegamento tra le FAP e il processo neurodegenerativo che genera l’atrofia, suggerisce inoltre che queste cellule possano rappresentare dei biomarcatori utili per segnalare il momento in cui la SLA e altre malattie caratterizzate da neurodegenerazione muscolare passano da una fase di latenza clinica alla fase sintomatica. “La proliferazione e l’attivazione delle FAP in caso di denervazione del muscolo – spiega Luca Madaro, ricercatore dell’IRCCS Santa Lucia e primo autore dello studio – avviene in una fase molto precoce rispetto ai tempi attuali di diagnosi della malattia. Per questo l’identificazione delle FAP offre la possibilità d’intervenire con terapie neuroprotettive in pazienti affetti da SLA quando le cellule neuronali del soggetto sono ancora in buona parte conservate”.
Lo studio Denervation-activated STAT3–IL-6 signalling in fibro-adipogenic progenitors promotes myofibres atrophy and fibrosis è stato finanziato da Ministero della Salute, National Institute of Health, EPIGEN, California Institute for Regenerative Medicine e Muscular Dystrophy Association. Si è avvalso anche della collaborazione dei Laboratori di Ricerca di Neuroembriologia e di Neuroimmunologia della Fondazione Santa Lucia IRCCS con l’impiego di analisi di citofluorimetria svolte presso il Centro Europeo di Ricerca sul Cervello della Fondazione.