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Milioni di persone, in tutto il mondo, affidano la propria vita e la propria salute ai dispositivi medici. Pacemaker, defibrillatori, valvole cardiache, sistemi per stimolazione cerebrale e dolore cronico, soluzioni terapeutiche per disfunzioni urogenitali , crioablazione per patologie oncologiche hanno contribuito a salvare tante vite e, soprattutto, a restituire ai pazienti autonomia, dignità, prospettive per il futuro. Una “alleanza per la vita” che l’emergenza Covid 19 ha frenato e, in molti casi, bloccato, precludendo l’accesso a soluzioni terapeutiche, posticipando visite e controlli, cancellando interventi programmati da tempo ma che ora, nonostante le difficoltà perduranti, riafferma il proprio ruolo nella quotidianità dei pazienti

Non va dimenticato che i dispositivi medici che affiancano e, spesso, sostituiscono, terapie farmacologiche, interventi chirurgici, trattamenti “tradizionali”, sono portatori di una carica innovativa che ha consentito soluzioni terapeutiche risolutive, indispensabili nell’emergenza ma ugualmente efficaci nelle terapie a lungo termine o per i pazienti cronici.

Se ne parlerà in tutta Europa, dal 12 al 16 ottobre, nella “Medtech Week”, ricordando che le tecnologie biomedicali hanno impresso una formidabile accelerazione all’evoluzione della medicina, sono alleate preziose di malati e caregiver e rappresentano, per tante patologie, la “nuova frontiera”

Lo testimoniano alcune Associazioni di Pazienti che nell’emergenza Covid hanno affrontato innumerevoli difficoltà per tutelare i pazienti e il diritto alla salute.

Per Francesco Diomede, Presidente FINCOPP, ipazienti sono stati penalizzati dai rinvii delle visite urologiche o riabilitative ma, anche, dalle ristrutturazioni di interi reparti, spesso trasferiti o non più disponibili per via delle emergenze ospedaliere, difficoltà cui si è aggiunto il profondo disagio psicologico legato alla pandemia.

Nella sua testimonianza, Diomede ha ricordato anche che il tumore alla prostata è, oggi, il primo tumore maligno ed è stato diagnosticato nel 2019 a 37.000 uomini. I pazienti colpiti da questo tumore e da patologie correlate, quali incontinenza e disfunzione erettile, si rivolgono, di norma, al medico di famiglia, che privilegia come terapia immediata il ricorso ai pannoloni, una soluzione che FINCOPP considera però una “sconfitta” della medicina, limitandosi a occultare il problema senza affrontarlo. Terapie più efficaci e risolutive come, per esempio, gli sfinteri urinari artificiali, o le protesi peniene per la Disfunzione Erettile, sono, per contro, penalizzate da una inadeguata politica di rimborsi da parte delle Regioni e da lunghissime liste di attesa, ancora più problematiche nella pandemia. Per FINCOPP, il ricorso a questi presidi biomedicali potrebbe restituire autonomia e qualità di vita a moltissimi uomini che abbiano subito interventi di prostatectomia, contribuendo inoltre – secondo le stime più recenti – a notevoli risparmi per il Sistema Sanitario Nazionale.

L’Associazione, un vero e proprio “Sindacato dei diritti dei malati”, si pone sempre più come Interlocutore degli Assessori regionali alle politiche sanitarie. Solo una politica sanitaria più lungimirante potrebbe infatti consentire a un maggior numero di pazienti l’accesso alle nuove soluzioni terapeutiche, restituendo autonomia e dignità a tante persone . Sul piano istituzionale, FINCOPP è impegnata nell’attuazione dell’accordo Stato-Regioni che prevede la costituzione di Centri territoriali sull’incontinenza. Un primo risultato è già stato raggiunto nella Regione Lazio, con l’apertura di un tavolo di confronto su vari temi, fra cui il rimborso per gli impianti di dispositivi medici.

Per AISC Associazione Italiana Scompensati Cardiaci l’emergenza Covid ha creato innumerevoli criticità legate soprattutto alla impossibilità, per i pazienti cardiopatici, di effettuare le visite di controllo programmate da tempo. I dati sono impietosi: secondo la Società Italiana di Cardiologia il tasso di mortalità per infartonel nostro Paese è passato quest’anno dal 4,1% al 13,7%, mentre i ricoveri per scompenso cardiaco sono calati del 47% rispetto al medesimo periodo dello scorso anno e le ospedalizzazioni per Fibrillazione Atriale sono diminuite di oltre il 53%. Emblematici anche i dati di una survey AIAC cui hanno aderito 104 clinici di 84 strutture ospedaliere. Queste strutture hanno segnalato, nel periodo aprile-maggio 2020, una generalizzata diminuzione degli impianti di pacemaker, defibrillatori e nelle ablazioni cardiache effettuando, nel periodo considerato, circa 2.200 impianti in meno di dispositivi cardiaci impiantabili e circa 960 ablazioni cardiache in meno.

Con lo scompenso cardiaco convivono, oggi, 14 milioni di persone in Europa e più di 1 milione in Italia. La patologia registra ogni anno l’insorgenza di 20 nuovi casi ogni 1.000 individui tra 65 e 69 anni e più di 80 casi ogni 1000 tra gli over-85, è la causa più comune di ricovero tra gli ultra 65enni e si stima che, entro il 2020, rappresenterà la terza causa di decessi nel mondo. Nonostante questo, la consapevolezza sulla dimensione sociale del problema è ancora  sottovalutata.

Sulle criticità legate all’emergenza Covid ha così commentato la dottoressa Rosaria di Somma, Consigliere Delegato AISC: “La pandemia causata dal coronavirus ha fatto emergere la grande “fragilità’” dell’Anziano, in particolare se affetto da patologie croniche. Tra queste, la più diffusa è proprio lo scompenso cardiaco caratterizzato, nella maggior parte dei casi, da comorbilità. Alla gravita dello stato di “paziente scompensato” si sono aggiunti – nel lockdown ma tuttora perduranti- fattori di ansia, paura dell’ospedale, incertezza per il futuro e la consapevolezza di trascurare la propria patologia che, se non monitorata nei tempi e nei luoghi previsti, rischia di aggravarsi fino all’irreparabile.

Come Associazione, abbiamo sentito il peso della sofferenza e ci siamo attivati alla ricerca di soluzioni nel sistema privato e nel volontariato per essere di aiuto ai nostri pazienti, viste le carenze del sistema sanitario nazionale e territoriale. L’Associazione ha fatto rete con altre Associazioni rappresentative di patologie croniche; insieme si è chiesto ed ottenuto dalle Istituzioni la dematerializzazione delle ricette e la proroga dei piani terapeutici. Ci siamo fatti, inoltre, portavoce di tante iniziative messe in campo dal settore privato tra cui “i farmaci a casa”, o di iniziative come “#Iorestoacasa con Heartlogic”. Per quest’ultima c’è stata una immediata risposta da parte dei pazienti portatori di devices che, da “pazienti informati”, si sono attivati presso i propri Centri di Cura per il controllo a distanza dei propri dispositivi e, globalmente, del proprio stato di salute. Ed è proprio sull’assistenza a distanza che la nostra Associazione, unitamente ad altre 15 Organizzazioni, ha avanzato una proposta di “modifica strutturale “del sistema sanitario nazionale che ha mostrato la sua vulnerabilità nei momenti emergenziali. E’ stato chiesto al Premier Conte ed al Ministro Speranza di avviare un nuovo percorso di sanità basato sulla Telemedicina, quale modello nazionale di assistenza domiciliare e con risultati positivi sia per quanto attiene l’assistenza al paziente che le risorse dello Stato. Esempi di eccellenza sono già registrati a livello locale, come il progetto portato avanti dall’ASL di Latina proprio durante la fase Covid.

L’iniziativa “#Iorestoacasa con Heartlogic” è stata attivata da Boston Scientific non appena decretati il lockdown e la chiusura degli Ambulatori – Basato su un algoritmo che segnala qualsiasi variazione rispetto ai normali parametri cardiaci, il sistema è stato attivato gratuitamente su tutti i dispositivi impiantati e dotati di questa tecnologia. Questo ha consentito ai Centri di Cardiologia che hanno in carico i pazienti di effettuare sistematici controlli a distanza e di intervenire nelle situazioni problematiche. La tecnologia segnala infatti con largo anticipo la possibile insorgenza di scompenso cardiaco, dando ai clinici il tempo necessario per intervenire prima che la condizione clinica del paziente possa degenerare.

Ugualmente problematica la situazione “Covid 19” evidenziata da A.L.I.Ce.Italia, Federazione delle Associazioni per la lotta all’ictus cerebrale, che ha visto molti pazienti colpiti da ictus arrivare all’ospedale troppo tardi, oppure scegliere autonomamente di non rivolgersi a nessuna struttura ospedaliera per timore del contagio, decisione che ha spesso avuto esiti infausti.

“La tempestività d’intervento, la visita del neurologo e l’effettuazione di una Tac nel più breve tempo possibile sono fattori imprescindibili da cui dipende la sorte del malato”, ricorda la dottoressa Nicoletta Reale, Presidente della Federazione – “La chiamata al 112 e la descrizione dei sintomi sono di vitale importanza per i soccorritori che possono individuare la Stroke Unit di riferimento e gestire l’emergenza. L’ictus è un evento improvviso, che potrebbe essere fatale anche senza preavvisi né piccoli episodi che lo precedono, e questo deve fare superare qualsiasi paura perché solo grazie al ricovero in un Ospedale idoneo, si può individuare il livello di gravità e affrontare correttamente la situazione con diagnosi e cure appropriate. Laddove ci si muova correttamente è possibile ridurre i tempi di intervento, compresi quelli antecedenti l’arrivo in Ospedale., Anche pochi minuti possono fare la differenza! Purtroppo, nell’emergenza Covid questo non ha sempre funzionato e i risultati sono stati consequenziali. Molti ictus di lieve entità si sono aggravati e situazioni che avrebbero potuto essere affrontate sono rimaste senza soluzione. Per questo, anche durante la pandemia abbiamo intensificato la nostra attività su tanti fronti. Oltre alla necessità di ampliare il numero delle Stroke Unit, che sono ancora insufficienti rispetto alle esigenze e a quanto previsto dal Decreto ministeriale fin dal 2015, stiamo rilanciando una campagna educativa per il riconoscimento dei sintomi. È un tema non marginale perché anche sintomi parziali o apparentemente di lieve entità possono invece denunciare la possibile insorgenza di un ictus“.

La patologia, importante non dimenticarlo, è la seconda causa di morte nel mondo. Nel nostro Paese si verificano, ogni anno, 120.000 nuovi casi: di questi, l’80% è rappresentato da nuovi episodi, mentre il restante è costituito da recidive.Undici persone su 100 muoiono in seguito a un ictus nell’arco di trenta giorni, mentre salgono a 16 quelli che non sopravvivono nell’arco di un anno. I sopravvissuti, con esiti più o meno invalidanti sono, in Italia, circa 1.000.000, ma il fenomeno èin crescita a causa dell’invecchiamento della popolazione, ma anche del miglioramento delle cure. Quanto ai costi, elevatissimi, si stima che complessivamente il Servizio Sanitario Nazionale sostenga, in Italia, una spesa globale di circa 16 miliardi euro/anno, cui si aggiungono i costi sociali sostenuti dalla famiglia e dalla collettività, pari a circa 5 miliardi €/anno.

La Presidente di A.L.I.Ce. Italia ha ricordato che la pandemia ha posto in evidenza il grande valore della tecnologia, basti pensare al diffusissimo utilizzo di WhatsApp che ha consentito a molti pazienti di mantenere un dialogo permanente con il proprio medico o di ricorrere ai consigli dello specialista coniugando, in un unico supporto tecnologico, professionalità, vicinanza e “umanità”. Per questo, lo sviluppo di soluzioni digitali connesse ai dispositivi medici, prima tra tutte la Telemedicina, viene visto con favore dall’Associazione non solo per le funzioni di controllo e monitoraggio, ma per i possibili ampliamenti delle aree diagnostiche o di follow up. Si pensi, per esempio, alle attività di riabilitazione, logopedia, supporti psicologici di cui molti pazienti colpiti da ictus hanno bisogno anche per lunghi periodi. Senza contare il sostegno concreto che le tecnologie possono dare a familiari e caregiver.

Sul fronte dei dispositivi medici l’innovazione tecnologica è preziosa non solo nella riabilitazione ma anche in fase di prevenzione dell’ictus. Basti citare, a titolo di esempio, Watchman, il dispositivo che molti hanno definito “l’ombrellino salva-cuore” che viene impiantato in maniera permanente in corrispondenza dell’auricola sinistra del cuore così da chiuderla, scongiurando la fuoriuscita dei coaguli e la loro “migrazione” verso il cervello, causa dell’ictus. Il dispositivo, di piccolissime dimensioni, è costituito da una struttura autoespandibile in nichel e titanio, con doppia fila di uncini per il fissaggio e da una leggera copertura in tessuto polimerico. Viene inserito nell’organismo tramite un sottilissimo catetere che, partendo dalle regioni inguinali, raggiunge l’atrio sinistro del cuore e chiude la “pericolosa apertura” in modo permanente.

L’auspicio condiviso – come rilevato anche dalle testimonianze delle Associazioni Pazienti – è che la medicina del futuro possa viaggiare sempre più su un doppio binario che affianchi terapie farmacologiche “su misura” e dispositivi medici ad alta tecnologia, entrambi rispondenti alle esigenze di una medicina moderna ma, soprattutto, al diritto alla salute e alla qualità di vita di milioni di pazienti in tutto il mondo.