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Il Servizio sanitario nazionale si è presentato all’appuntamento con l’emergenza del Covid-19 piuttosto fragile. Non solo perché ha scontato una impreparazione sistemica rispetto alla prevenzione delle epidemie, ma anche perché nel tempo è stato minato nelle sue basi economiche e umane. Nel 2019 la spesa pubblica per la sanità ammonta a 116 miliardi di euro, quella pro capite a 1.922 euro. Per entrambe l’andamento nel decennio è stato negativo, con un calo in termini reali rispettivamente dell’1,6% e del 3,3%. L’esito è un impegno pubblico nella sanità inferiore rispetto a quello di altri Paesi europei. Nel 2019 l’incidenza della spesa pubblica per la sanità sul Pil italiano è pari al 6,5%, contro il 9,7% in Germania, il 9,4% in Francia, il 9,3% in Svezia, il 7,8% nel Regno Unito. Al razionamento delle risorse economiche si aggiunge il mancato ricambio generazionale di medici e infermieri. Nel 2018 i medici impiegati nel Ssn erano 111.652, diminuiti di 6.410 unità rispetto a dieci anni prima, gli infermieri erano 267.523, scesi di 8.221 unità.

L’83,6% degli italiani ritiene che le persone abbiano rispettato le regole imposte nelle varie fasi dell’emergenza, con percentuali che restano elevate nel Nord-Ovest, nel Nord-Est, nel Centro e nel Sud. L’emergenza sanitaria ha segnato il ritorno di una idea di malattia che fa paura, rovesciando quella rappresentazione rassicurante che si era imposta di pari passo con l’invecchiamento della popolazione e con la cronicizzazione delle patologie. Il 65% dei cittadini pensa che la comunicazione sulle modalità di diffusione del virus, i dati sui nuovi contagi e i decessi abbia spaventato le persone senza renderle pienamente consapevoli di quanto stava effettivamente accadendo. Le percentuali arrivano al massimo tra i soggetti più vulnerabili: il 72,5% tra gli anziani e il 79,7% tra chi ha un basso livello di scolarizzazione.

Nel 2019 i nati in Italia sono stati 420.170: 148.687 in meno rispetto al 2009, il 26,1% in meno. Gli italiani fanno sempre meno figli. L’esito è un inverno demografico che sta progressivamente rimpicciolendo il Paese: nel quinquennio 2014-2019 si registra oltre mezzo milione di abitanti in meno e il saldo naturale tra nascite e decessi nel 2019 ha raggiunto il record negativo di -214.000 unità. Per le madri diventare genitore significa dover sacrificare la propria realizzazione individuale, specialmente a livello professionale: il tasso di occupazione delle madri 25-54enni è pari al 57%, quello dei padri 25-54enni è dell’89,3%.

Il fallimento della residenzialità socio-sanitaria e socio-assistenziale per gli anziani è stato uno dei capitoli più drammatici dell’emergenza sanitaria. Per il 66,9% degli italiani si sapeva che tante case di riposo non garantivano agli ospiti adeguati standard di sicurezza e di qualità della vita. Nel post Covid-19 diventa prioritario attivare reti integrate di assistenza per affiancare le famiglie troppo spesso lasciate sole nell’assistenza di malati cronici o non autosufficienti. La soluzione passa attraverso la figura dell’infermiere di comunità o di famiglia. Ben il 91,4% degli italiani la ritiene la soluzione migliore per l’assistenza e la cura di persone bisognose di terapie domiciliari e riabilitative.

Il rapporto tra occupati e pensionati nel 2018 era pari a 1,45. La spesa previdenziale ha avuto un incremento annuo del 2,2% in termini reali. Ma se la spesa pensionistica propriamente detta è pari all’11,7% del Pil, quella inclusiva anche della Gestione interventi assistenziali arriva al 16,6%. È il segnale di un supplenza esercitata rispetto a pezzi di welfare che non funzionano e che la crisi Covid-19 ha rilanciato. Durante l’emergenza sanitaria, 16 milioni di pensionati hanno svolto il ruolo di «silver welfare» a supporto di figli e nipoti, facendo scoprire il valore sociale ed economico delle pensioni.

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