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A novembre del 2020, la popolazione della provincia di Bolzano venne invitata dalle istituzioni locali a prendere parte a una campagna di screening di massa, basata sulle adesioni volontarie, che durò un fine settimana. L’operazione – organizzata dall’Azienda sanitaria dell’Alto Adige e dall’Agenzia per la Protezione Civile in collaborazione con i Comuni, i Vigili del Fuoco volontari, la Croce Bianca e la Croce Rossa – mobilitò un intero territorio: in circa 300 strutture su tutto il territorio altoatesino, 362.050 persone di età superiore ai 5 anni hanno potuto sottoporsi al test. Al termine, 3.615 furono rilevate positive al test e conseguentemente isolate. Nei mesi successivi l’Alto Adige precipitò tra le regioni di colore rosso scuro in Europa e ciò contribuì a sollevare non poche perplessità sull’effettiva utilità dello screening di massa. 

Adesso, una delle riviste più citate al mondo, “Scientific Reports” del gruppo Springer Nature, ha pubblicato in modalità open access la ricerca frutto del lavoro dei professori di unibz Davide Ferrari, statistico, Steven Stillman, economista, e del docente unibz, nonché direttore dell’Istituto per la Ricerca Valutativa sulle Politiche Pubbliche della Fondazione Bruno Kessler, Mirco Tonin, che contrappone la chiarezza dei numeri alle impressioni, sottolineando come lo sviluppo della pandemia sarebbe stato ancora peggiore in assenza del test di massa. Nell’articolo intitolato “Assessing the Impact of COVID-19 Mass Testing in South Tyrol using a Semi-parametric Growth Model”, i tre docenti dimostrano – sulla base di un approccio statistico che permette di effettuare confronti con territori italiani simili per dinamiche di trasmissione del virus e misure di contenimento messe in atto, ad esclusione dello screening – che il fine settimana di test di massa effettuato in Alto Adige ha fruttato risultati più che positivi.

“L’approccio che abbiamo adottato nel nostro studio è basato su modelli che confrontano i cambiamenti nel tempo in un luogo in cui viene effettuato un certo intervento con quelli che avvengono nello stesso lasso temporale in luoghi simili, ma dove non si è intervenuti”, afferma il prof. Davide Ferrari, “così facendo siamo stati in grado di isolare l’impatto della campagna di test di massa in Alto Adige rispetto alle politiche nazionali riguardanti libertà di movimento, chiusura delle attività commerciali e delle scuole, misure igienico-sanitarie, poiché, nello stesso periodo, in provincia di Bolzano non era stata applicata nessuna altra misura che si differenziasse dal resto del Paese e che potesse giustificare una flessione nell’andamento dei contagi”.

Secondo le stime dei tre docenti, complessivamente, la campagna di screening di massa in Alto Adige ha portato a una diminuzione del tasso di crescita dei contagi da Covid-19 del 45% rispetto a quello che si sarebbe osservato in assenza dei test. “In particolare, senza lo screening, abbiamo appurato che a 7, 10, 20 e 40 giorni dalla data dell’intervento, avremmo avuto un ulteriore aumento dei casi di contagi rispettivamente del 17, 22, 26 e 51%”, aggiunge il collega prof. Steven Stillman. 

“L’efficacia di questo tipo di interventi dipende dalla partecipazione dei cittadini ed è importante notare che questo grande impatto è stato ottenuto anche se il test era volontario, segno che la popolazione ne aveva compreso l’importanza”, sottolinea prof. Mirco Tonin.