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L’emergenza sanitaria scaturita dalla diffusione del COVID-19 ha avuto un forte impatto sugli anziani affetti da demenza e, di conseguenza, anche sui loro familiari. Da un giorno con l’altro, infatti, queste persone si sono ritrovate isolate dalla rete di supporto sanitario, sociale e psicologico su cui potevano abitualmente contare.

Il Dott. Angelo Bianchetti, Responsabile dell’U.O. di Medicina Generale dell’Istituto Clinico S. Anna, ha collaborato ad uno studio italiano sul possibile ruolo della demenza come fattore di rischio di mortalità per gli anziani colpiti dal coronavirus e ci racconta cosa è emerso.

Nel mondo vi sono quasi 50 milioni di persone affette da demenza, una crescita di casi vertiginosa rispetto a trenta anni fa. I motivi riconducibili a questo incremento sono sostanzialmente due: l’invecchiamento della popolazione e l’aumento demografico. 

Le demenze comprendono un insieme di patologie tra cui le più diffuse sono: la malattia di Alzheimer, la demenze della malattia di Parkinson, la demenza vascolare, la demenza frontotemporale, e la malattia a corpi di Lewy.

Queste patologie si distinguono per peculiarità sindromiche e per pervasività dei diversi domini organici e psichici coinvolti, ma hanno un elemento comune, come spiega il Dott. Bianchetti:  “In ogni caso richiedono un complesso ed articolato processo di cura, finalizzato ad accogliere e supportare bisogni medici, psicologici e sociali”. 

Chi soffre di una qualsiasi patologia neurodegenerativa presenta una vulnerabilità superiore alle patologie virali e sistemiche e per questo motivo sono persone più fragili.

Quanto ci siamo lasciati alle spalle ha messo a dura prova la nostra salute, ma questa situazione ha avuto una ricaduta ancor più gravosa per gli anziani affetti da demenza e per le relative famiglie. Di punto in bianco, infatti, è crollato il modello di assistenza studiato attorno ad ognuno di loro venendo a mancare il sostegno a cui erano abituati ogni giorno. 

Lo stesso, sia pur con risvolti diversi, è avvenuto per coloro che se ne prendono abitualmente cura tra le mura domestiche, i caregivers, inevitabilmente disorientati dall’improvvisa interruzione dell’assistenza domiciliare così come dall’impossibilità di portarli presso i centri diurni specialistici solitamente frequentati. 

Ancor peggio è andata ai familiari di anziani affetti da demenza ricoverati presso strutture sanitarie dedicate: complice il COVID-19, infatti, non hanno visto più per mesi i loro cari di persona. 

In un recentissimo studio italiano, il Dott. Angelo Bianchetti, in collaborazione con diversi autori, ha analizzato il possibile ruolo della demenza come fattore di rischio di mortalità per gli anziani colpiti dal virus. 

“Adottando una metodologia di studio retrospettiva – racconta il dottore – abbiamo utilizzato le informazioni cliniche di alcuni reparti COVID-19 della provincia di Brescia analizzando i dati di 627 anziani ricoverati con polmonite da SARS-CoV-2. Tra i pazienti coinvolti nello studio, 82 avevano una diagnosi di demenza”. 

“Utilizzando la Clinical Dementia Rating, una scala numerica utilizzata per quantificare la gravità di una demenza, sono stati distinti i pazienti in relazione alla pervasività del deterioramento cognitivo, individuando: 36 pazienti allo stadio I; 15 pazienti allo stadio II; 31 pazienti allo stadio III. 

I risultati di questo studio – prosegue il Dott. Bianchetti – hanno documentato un tasso di mortalità del 62,2% tra i pazienti con patologia neurodegenerativa, rispetto al 26,2% in anziani con funzionamento cognitivo integro. 

Da un punto di vista psicologico e clinico, è interessante notare come per gli anziani affetti da COVID-19 era presente un quadro sintomatologico caratterizzato da delirium soprattutto in forma ipoattiva e da un generale peggioramento dello stato funzionale e delle autonomie di base. È inoltre significativo riportare come per questo particolare campione di popolazione vi fosse una minor presenza dei sintomi clinici solitamente associati al coronavirus. Infatti, solo il 47% dei pazienti aveva febbre, il 44% la dispnea ed il 14% la tosse”. 

Le riflessioni conclusive di questo studio hanno portato ad argomentare come la diagnosi di demenza, soprattutto nelle fasi più avanzate, rappresenti un importante fattore di rischio per la mortalità e di ulteriore riduzione del funzionamento nei pazienti COVID-19. 

“Inoltre – conclude lo specialista – la configurazione dei sintomi per i pazienti con demenza affetti da coronavirus è risultata essere atipica, riducendo quindi ulteriormente la possibilità di riconoscere precocemente i sintomi in questa complessa popolazione caratterizzata già da importanti difficoltà comportamentali e di comunicazione che ne ritardano già solitamente il ricorso a possibili cure sanitarie”.