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Sebbene la ricerca sulla fisiopatologia sesso-correlata sia aumentata negli ultimi 20 anni, le donne continuano ad essere meno studiate, meno rappresentate nei principali trial clinici, sotto diagnosticate, sotto trattate, con conseguente aumento di complicazioni e di mortalità. Questi aspetti sono emersi in tutta la loro importanza anche durante la pandemia da Covid-19, che ha mostrato sia durante la fase acuta dell’infezione sia nella fase cronica successiva, differenze peculiari tra uomini e donne. E’ partito da queste premesse il congresso Medicina di Genere organizzato da ARCA, realizzato con il contributo non condizionante della multinazionale farmaceutica Adamed.

“È ormai chiaro che uomini e donne non sono uguali in medicina. Si ammalano in modo diverso, di malattie differenti, non hanno gli stessi sintomi e rispondono in maniera dissimile alle terapie. Riconoscere e valorizzare queste differenze permette di fornire terapie più appropriate allo scopo di garantire a ogni persona la cura migliore, rafforzando il concetto di centralità del paziente e di personalizzazione delle cure” fa notare Giovanni Battista Zito, presidente di ARCA.

I cardiologi della società scientifica ARCA hanno quindi deciso di proporre un percorso formativo congressuale sulla medicina di genere, con l’obiettivo di rinnovarlo annualmente. Nel primo evento, che si è tenuto il 4 e 5 febbraio a Venezia, sono stati approfonditi il concetto di genere in particolare in cardiologia, le differenze anatomo-funzionali tra donna e uomo, i meccanismi atero-trombotici e gli aspetti metabolici alla base del rischio cardio vascolare nella donna, la terapia ormonale, la gravidanza e l’adattamento cardiovascolare o il trattamento in presenza di una cardiopatia.

Il focus del congresso 2022 è stato sul rischio cardiovascolare per le donne. In occasione dell’ultimo congresso dell’American College of Cardiology a maggio 2021, è stato presentato il documento di consenso “The Lancet Women and Cardiovascular disease Commission”, che pone l’obiettivo ridurre l’incidenza delle malattie cardiovascolari nella popolazione femminile a livello globale entro il 2030, che a tutt’oggi ne rappresentano la prima causa di mortalità. Solo nel 2019 a 275 milioni di donne è stata diagnosticata una malattia cardiovascolare nel mondo, e di queste 9 milioni sono decedute per essa.

Poiché dalla letteratura nazionale ed internazionale emerge una scarsa conoscenza e consapevolezza del rischio cardiovascolare della donna, non solo nelle donne stesse ma anche nella comunità medica, ARCA ha voluto indagare il grado di consapevolezza nelle donne italiane attraverso una survey nazionale, denominata CARIN WOMEN somministrata, tra febbraio 2020 e novembre 2021, a 5.590 donne.

Solo il 15% ritiene che il rischio cardiovascolare sia maggiore nel sesso femminile rispetto al sesso maschile, e ben il 27% pensa che il rischio sia inferiore. Solo il 20% dichiara di riuscire a svolgere regolarmente attività fisica, sebbene la maggior parte riconosca che serva a ridurre il rischio di eventi cardiovascolari, mentre il 31% l’ha equiparata ai lavori casalinghi. Riguardo le abitudini alimentari, la maggior parte delle intervistate ha dichiarato di consumare frutta e verdura 1-2 volte al giorno invece delle 5 consigliate.

Le donne indicano che le maggiori difficoltà nel seguire corretti stili di vita per la prevenzione delle malattie cardiovascolari sono: avere corrette abitudini alimentari, praticare attività fisica regolare, abbandonare il fumo.

“Questi dati dimostrano come sia necessaria una maggiore informazione sui benefici di un’attività fisica regolare e sulla promozione di counselling per la disassuefazione da fumo di sigaretta” sottolinea il prof. Zito. “Alla luce di questi risultati, come società scientifica, guardando all’obiettivo del 2030, desideriamo contribuire a colmare il gap della conoscenza, aumentare la consapevolezza delle malattie cardiovascolari nelle donne, definire target ed obiettivi ben consolidati, rafforzare i sistemi sanitari e coinvolgere gli operatori sanitari potenziandone le conoscenze”.

Rispetto alle malattie cardiovascolari, gli ultimi studi, indicano che le donne presentano fattori di rischio specifici correlati al genere. Alle donne basta fumare un terzo delle sigarette dell’uomo per essere esposta al medesimo livello di rischio. Le malattie autoimmuni, più tipicamente femminili visto il ruolo immunostimolante degli estrogeni, possono essere associate a un maggior rischio di MCV, per lo stato di infiammazione cronica sistemica ed esse associato. La menopausa precoce si associa a un maggior rischio cardiovascolare, contrariamente alle donne con menopausa ad esordio più tardivo.

La Sindrome dell’Ovaio Policistico può compromettere la salute cardiovascolare delle donne in età giovane tra i 30 e 40 anni, che presentano un rischio più alto rispetto alle coetanee che non hanno disturbi ovarici, essendo più soggette a sovrappeso/obesità, ipertensione, diabete, dislipidemia e sindrome metabolica; 

Le donne che hanno sofferto di gestosi e ipertensione gestazionale hanno un rischio raddoppiato di MCV entro 5-15 anni dalla gravidanza e, in particolare, rischio quadruplicato di sviluppare ipertensione arteriosa. Anche una storia di diabete in gravidanza può essere una spia di aumentato rischio di diabete ma anche di MCV.

Le donne che hanno sofferto di tumore al seno presentano un rischio più alto di sviluppare MCV. Gli esami di screening possono altresì essere utili a evidenziare questo rischio: la presenza di calcificazioni arteriose mammarie alla mammografia, seppur senza rilievo dal punto di vista oncologico, può invece segnalare la presenza di calcificazioni delle arterie coronariche.

“Mettere al centro della discussione la medicina di genere e il rischio cardiovascolare per le donne è fondamentale, in quanto può contribuire a promuovere presso la classe medica e le pazienti maggiore attenzione agli stili di vita corretti e alla prevenzione, con controlli tempestivi. L’impegno di Adamed, come azienda specializzata in cardiologia, è quello di proporre farmaci di ultima generazione che aiutino a rendere il trattamento delle malattie cardiovascolari più efficace” dichiara Pasquale Bove, General Manager di Adamed Italia. 

In tema di medicina di genere, le diversità tra uomini e donne si notano anche per l’infezione da COVID. Nelle donne il contagio evolve più raramente in un decorso clinico severo. Uno studio condotto dalla Società Italiana di Ipertensione su oltre 2.300 pazienti ricoverati in Italia ha evidenziato che tra i ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva circa 3 su 4 erano di sesso maschile.

I dati italiani, conformi alla maggioranza di quelli europei ed internazionali, confermano che gli uomini con COVID-19 muoiono circa il doppio rispetto alle donne.

Dati forniti da Italia, Cina e Corea del Sud indicherebbero una differenza di genere per quanto riguarda la perdita del gusto e dell’olfatto con un maggior coinvolgimento femminile rispetto agli uomini.

Le donne sembrano avere il doppio delle probabilità di sviluppare il Long COVID, ma solo fino a circa 60 anni, quando il divario nel rischio si appiana.

“La medicina è stata tradizionalmente governata con un’impostazione “androcentrica”, trascurando l’esistenza di importanti differenze di genere in termini di suscettibilità, manifestazione clinica, risposta alle terapie e prognosi in diversi contesti. Ciò non è più accettabile, essendo disponibili evidenze inconfutabili del fatto che le donne presentano un profilo di rischio genere correlato peculiare, hanno un decorso clinico differente rispetto all’uomo e necessitano di terapia personalizzata” dichiara la prof.ssa Maria Grazia Modena, cardiologa, Università di Modena e Reggio.