Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia e dell’Università di Trento ha scoperto che Blastocystis, microrganismo eucariote presente nel nostro microbiota intestinale, gioca un ruolo chiave nel rapporto dieta-salute, contribuendo così a spiegare perché ognuno di noi risponde diversamente allo stesso regime alimentare ed ha di conseguenza una diversa predisposizione a sviluppare malattie intestinali e cardiometaboliche. I risultati dello studio, finanziato dalla start-up inglese ZOE e da diversi programmi della Comunità Europea, sono pubblicati oggi dalla prestigiosa rivista scientifica Cell. Alla ricerca, coordinata dal Prof. Nicola Segata, Professore Ordinario, Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata CIBIO, Università di Trento e Principal Investigator presso il Laboratorio di Metagenomica Computazionale di IEO e dal Dr. Francesco Asnicar, ricercatore presso il Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata CIBIO, Università di Trento, hanno collaborato altri team italiani dell’Università di Napoli Federico II e dell’Università degli Studi di Sassari, e diversi gruppi internazionali, in particolare quelli del King’s College di Londra e Harvard di Boston.

Nel corso dello studio sono stati raccolti e analizzati 56.989 campioni di microbiota intestinale di persone provenienti da 32 nazioni, per studiare come la presenza di Blastocystis è associata a dieta e salute. Blastocystis era già noto al gruppo di Segata che in un lavoro precedente su circa mille soggetti aveva notato che individui con Blastocystis mostravano risposte glicemiche più favorevoli – cioè un minor rialzo dell’indice glicemico a fronte di assunzione di zuccheri. Il nuovo studio è andato oltre, mostrando che la prevalenza di Blastocystis è legata alla geografia, allo stile di vita e alle abitudini alimentari, e che la sua presenza corrisponde a minore indice di massa corporea e minore probabilità di malattie cardiometaboliche.

“Con questo lavoro abbiamo mostrato che Blastocystis è più prevalente e abbondante in persone normopeso rispetto a persone obese, in soggetti sani rispetto a soggetti con malattie intestinali o sistemiche, in chi consuma più frequentemente cibi ricchi di fibre e poco processati, e in soggetti con parametri del sangue indicativi di salute cardiometabolica rispetto a valori associati a stati di infiammazione, alta colesterolemia e glicemia, o ipertensione. Oggi sappiamo che il microbiota svolge un ruolo fondamentale nella nostra salute e che la sua composizione è legata alla dieta, tuttavia i microrganismi e meccanismi responsabili di questo legame sono solo parzialmente conosciuti. In particolare, il ruolo della componente non-batterica del microbiota e più specificamente di eucarioti unicellulari, di cui Blastocystis fa parte, è stato trascurato in passato. Blastocystis si considerava un parassita indesiderato; invece noi mostriamo che è un indicatore di salute che contribuisce a spiegare perché ognuno di noi ha una risposta individuale alla dieta” dichiara Elisa Piperni, dottoranda SEMM, ricercatrice presso il gruppo di Segata in IEO e prima firma del lavoro.

“Con questo studio abbiamo aperto un nuovo promettente filone di ricerca sugli eucarioti presenti nel microbiota umano, che abbiamo solo iniziato a scalfire in superficie investigando il ruolo di Blastocystis. Ora dobbiamo scoprire come questo microrganismo svolga una funzione positiva. La nostra ricerca si è avvalsa della metagenomica, strumento biotecnologico ad alta risoluzione che permette di studiare tutto il DNA di una comunità microbica, e di metodi computazionali e di intelligenza artificiale che consentono di individuare associazioni tra caratteristiche del microbiota e caratteristiche degli individui. Tuttavia saranno necessari esperimenti specifici in vitro per capire come Blastocystis agisce sul nostro corpo. L’indicazione importante che emerge è che se vogliamo davvero attingere all’enorme tesoro di informazioni del microbiota e soprattutto capirne l’impatto sulla nostra salute, le analisi future dovranno concentrarsi non solo sui batteri, ma anche su eucarioti, funghi, e virus. Una maggior comprensione di tutti i componenti del microbiota ci permetterà in futuro di sfruttarli per sviluppare terapie di medicina e nutrizione di precisione” concludono Nicola Segata e Francesco Asnicar.