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I numeri danno la dimensione del problema: l’incontinenza urinaria femminile coinvolge, nel nostro Paese, quasi 4 milioni di donne e si pone come un grave problema sociale. Eppure questa patologia, che ha un impatto drammatico sulla vita quotidiana e le relazioni interpersonali, è ampiamente sottovalutata. In termini clinici, l’incontinenza urinaria è una condizione piuttosto frequente e si verifica con la perdita involontaria di urina, spesso associata a eventi fisiologici banali come un colpo di tosse o uno starnuto. In altri casi può presentarsi come un impellente e improvviso stimolo a urinare.

Le cause sono diverse, ugualmente determinanti sono la menopausa e il crollo degli estrogeni, le complicanze da interventi chirurgici, i prolassi genito-urinari.  Nel quadro complessivo giocano un ruolo non marginale anche stili di vita non salutari, obesità, scarsa attività fisica, stipsi, fumo, assunzione di farmaci. Si aggiunga che l’incontinenza può essere anche rivelatrice di altre patologie: di natura neurologica, oppure riconducibili a tumori alla vescica. Inoltre, il disturbo non colpisce solo donne in età avanzata, ma anche donne giovani che – prevalentemente a causa di gravidanza e parto complicato – possono presentare una compromissione sia dei muscoli del pavimento pelvico, sia di quelli a sostegno della vescica.

Nonostante la rilevanza clinica e le dimensioni, l’incontinenza urinaria è ancora un problema sommerso, vissuto da molte donne come un insuperabile “tabù”; raramente ne parlano con il proprio medico o con lo specialista; più spesso, invece, “si arrendono”, accettano il problema e le sue pesanti implicazioni e ricorrono all’assorbente igienico come un rimedio quotidiano, poco problematico e facilmente reperibile.

L’incontinenza urinaria ha un impatto pesante sul benessere fisico e su quello psicologico, nei rapporti di coppia e nella vita di relazioni. Isolamento, depressione, rifiuto dei rapporti sessuali, limitazioni negli spostamenti, chiusure in sé stessi sono segnalati da un numero crescente di pazienti. Per questo, si moltiplicano le sollecitazioni da parte del mondo clinico e di molte Istituzioni affinché il problema dell’incontinenza urinaria femminile venga affrontato con maggiore determinazione e rigore dagli stessi medici che, per primi, devono aiutare le donne a non accettare con rassegnazione la patologia ma, invece, a curarla, individuando le soluzioni terapeutiche più idonee oggi disponibili. Nell’immaginario collettivo, ma anche in ambito medico, esiste invece la convinzione che l’incontinenza urinaria sia un problema fisiologico, ineluttabile e senza alcuna terapia.

L’incontinenza urinari – importante ricordarlo alle donne in qualsiasi occasione, compresa la “Festa della donna” l’8 marzo – deve essere affrontata clinicamente con una visita uro-ginecologica, essenziale per formulare una diagnosi corretta e impostare un percorso terapeutico adeguato. Questo significa fare riferimento a un Centro specializzato che possa accompagnare le donne in modo adeguato. Per ognuna, e per ogni tipo di incontinenza ci sarà una soluzione diversa che passa – anche – attraverso una diagnosi precoce e la prevenzione.

I primi trattamenti, differenziati per l’incontinenza urinaria da sforzo o da urgenza, sono, di norma, conservativi o farmacologici. I primi possono comportare modifiche nello stile di vita, richiedere sane abitudini alimentari e attività fisica, terapie di rieducazione del pavimento pelvico per rinforzare i muscoli con esercizi individuali, con o senza l’ausilio di apparecchiature quali la stimolazione elettrica funzionale e il “biofeedback”. Le terapie farmacologiche possono prevedere, invece, l’assunzione di farmaci “anti-muscarinici” o “beta3-adrenergici”.

Nella maggior parte dei casi l’incontinenza urinaria è fortemente invalidante, genera problemi psicologici e può richiedere interventi medici di più ampia portata. Per ogni forma esiste comunque una soluzione; quando le terapie conservative falliscono si può intervenire chirurgicamente. In questo ambito, l’innovazione biomedicale ha fatto progressi che hanno rivoluzionato il trattamento della patologia.

Oggi, fra le soluzioni terapeutiche più risolutive per l’incontinenza da sforzo, ci sono interventi minimamente invasivi che prevedono l’inserimento chirurgico di sottili benderelle sottouretrali, realizzate per sostenere l’uretra durante gli aumenti di pressione addominale che possono causare la perdita di urina. L’impianto della piccola protesi consente di ripristinare la funzione danneggiata del legamento pubo-uretrale, richiede un breve ricovero ospedaliero e, in mani esperte, presenta minime complicanze o effetti collaterali. Laddove si tratti, invece, di incontinenze da urgenza che non rispondono al trattamento farmacologico, sono indicate le infiltrazioni intradetrusoriali di tossina botulinica in prima istanza, seguite da interventi più complessi quali la neuromodulazione sacrale, con l’impianto di un piccolo elettrodo in corrispondenza di un nervo sacrale. L’elettrodo viene stimolato grazie a un dispositivo inserito, a sua volta, in una piccola tasca sottocutanea.

“C’è un messaggio forte da mandare alle donne affette da incontinenza urinaria”, ricorda la professoressa Elisabetta Costantini, direttore della struttura complessa di Urologia ad indirizzo Andrologico ed Uroginecologico presso l’AOU di Terni e Perugia: “Dobbiamo aiutarle ad abbandonare l’idea che l’assorbente igienico sia l’unica soluzione. È indispensabile, invece, fare prevenzione! È importante che le donne ne parlino e che poi si rivolgano a Centri qualificati dove ogni caso può trovare la soluzione. Parlo, quindi, di Centri in grado di accompagnare le pazienti dalla diagnosi alla terapia, in un percorso modulare che preveda tutte le opzioni ad oggi disponibili. Anche la terapia chirurgica mini-invasiva deve essere eseguita da mani esperte, che diano le giuste indicazioni e corrette soluzioni personalizzate”.