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Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha appena annunciato un nuovo, potente alleato nella lotta contro l’epidemia di COVID-19: il supercomputer Summit di IBM, in forza all’Oak Ridge National Lab del Tennessee.

La sua potenza computazionale, pari a 200 petaflop di picco – equivalenti a 200 milioni di miliardi di calcoli al secondo – è proprio ciò che occorre ai ricercatori per districarsi tra miliardi di dati. La selezione dei composti che, in laboratorio, vengono messi a contatto con il virus per capirne la reazione resta un processo lento senza l’ausilio dei computer in grado di restringere il numero di potenziali variabili. Persino in questo caso le sfide non cessano perché ogni variabile può essere composta da milioni, se non miliardi, di dati unici e aggravata dalla necessità di condurre simulazioni multiple.

I risultati appaiono più che incoraggianti: con Summit, i ricercatori sono già stati in grado di simulare 8mila composti nel giro di pochi giorni per modellare ciò che potrebbe influire sul processo di infezione e ne hanno identificati 77 con il potenziale di compromettere la capacità del COVID-19 di attaccare e infettare le cellule ospiti.

Summit ha caratteristiche da primo della classe. E lo è, a livello mondiale, dal 2018, davanti al gemello Sierra. La capacità di elaborazione dei dati è abilitata da 4608 nodi server IBM Power Systems AC922, ciascuno dotato di due Cpu IBM Power9 e sei Gpu NVIDIA Tensorcore V100, con la potenza di un milione di laptop di fascia alta.

In due anni ha guidato ricerche pionieristiche in ambiti differenti: per la comprensione delle origini dell’universo, le missioni spaziali e la crisi degli oppiacei con cui gli Stati Uniti hanno dovuto fare i conti.

La tecnologia di IBM è stata al centro dei progressi scientifici per decenni. Sedici anni fa, il supercomputer Blue Gene inaugurò l’era del petascale assumendo un ruolo critico nel sequenziamento del genoma umano da cui sono nati nuovi farmaci. Non solo: con Blue Gene è stato possibile simulare circa l’1% della nostra corteccia cerebrale la quale contiene 1,6 miliardi di neuroni con circa 9 trilioni di connessioni, portando così la scienza a un più alto livello di comprensione del computer più complesso mai apparso sulla Terra: il cervello umano.

Se per la cura del virus di Wuhan ci vorrà tempo – breve, si spera – la disponibilità di macchine di questo tipo dà alla comunità scientifica ulteriori speranze di successo, testimoniando ancora una volta il ruolo insostituibile che la tecnologia assume nelle grandi sfide dell’umanità.

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