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Uno studio dell’Università di Urbino, realizzato in collaborazione con ENEA e Università di Singapore, ha permesso di individuare in alcuni farmaci già in uso nella pratica clinica, proprietà che contrastano i meccanismi cellulari e molecolari dell’infezione da virus SARS-CoV-2 e la progressione della malattia COVID-19. La ricerca realizzata con il Big Data approach, ovvero utilizzando piattaforme computazionali che raccolgono una grande mole di informazioni, è stata pubblicata sulla piattaforma internazionale “Research Square” ed accettata dalla rivista internazionale peer-reviewed “Frontiers in Pharmacology”.

Il lavoro è stato ispirato al “repurposing”, ossia riqualificazione – tra le linee guida raccomandate dalla Commissione Europea – e prende in considerazione farmaci già in uso, approvati sia dall’European Medicines Agency che dalla Food and Drug Adminstration. Lo studio in silico propone che questi farmaci, già noti per l’azione come antitumorali, chemiopreventivi, broncodilatatori, antipertensivi, possano essere in grado di colpire anche i bersagli molecolari di COVID-19, bloccandone o limitandone la progressione. La ricerca apre la strada non solo alla ricollocazione di farmaci già esistenti per il trattamento di COVID-19, ma anche allo sviluppo di nuovi farmaci in grado di interferire coi meccanismi molecolari alla base dell’infezione da SARS-CoV-2.

“Lo studio è stato il primo in assoluto ad aver identificato la proteina HDAC (istone deacetilasi) una tra le più importanti molecole che regola l’espressione dei nostri geni, come utile bersaglio terapeutico per contrastare il virus” spiega la prof Maria Cristina Albertini dell’Università di Urbino.” I risultati validati dal confronto con i dati clinici di uno studio cinese su 1096 pazienti di COVID-19[1], aprono la strada a nuovi studi nel settore del drug repurposing e drug-discovery. Successivamente, altri gruppi hanno evidenziato l’HDAC come utile bersaglio per contrastare il virus SARS-CoV-2. Si tratta di un risultato di notevole impatto clinico, in quanto esiste già un discreto numero di farmaci e anche composti bioattivi di origine naturale come la quercetina,un flavonoide presente in alcuni alimenti, con comprovata attività HDAC inibitrice, attualmente utilizzati per altre patologie che potrebbero essere integrati per contrastare la malattia COVID-19”.

A questa ricerca hanno collaborato non solo i docenti e ricercatori dell’Università di Urbino Maria Cristina Albertini, Piero Sestili, Daniele Fraternale, Marco Bruno Luigi Rocchi e Sofia Coppari, ma anche Laura Teodori e Seeram Ramakrishna.

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