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Brevi cicli di una dieta che imita il digiuno sembrano ridurre i segni dell’Alzheimer. Sono questi i risultati di uno studio apparso sulla rivista scientifica Cell Reports il 27 settembre scorso. I ricercatori, guidati dal Prof. Valter Longo in collaborazione con i professori Christian Pike e Pinchas Cohen della USC “Leonard Davis School of Gerontology”, hanno scoperto che i topi che avevano seguito diversi cicli di una dieta mima-digiuno mostravano livelli più bassi di due principali segni distintivi della malattia: la beta amiloide e la proteina tau iperfosforilata, responsabili delle manifestazioni cerebrali tipiche dell’Alzheimer. Hanno anche scoperto che l’infiammazione cerebrale diminuiva e che il protocollo alimentare migliorava le prestazioni nei test cognitivi rispetto ai topi alimentati con una dieta standard. È stata utilizzata una dieta ricca di grassi insaturi e povera di calorie, proteine e carboidrati complessi e progettata per imitare gli effetti di un digiuno di sola acqua fornendo allo stesso tempo i nutrienti necessari. Lo studio ha indicato specificamente il “superossido” del radicale libero come il principale responsabile del danno che si verifica con il morbo di Alzheimer.

Per validare i risultati della ricerca di base, è stato dato avvio a uno studio clinico con 40 pazienti, che ha coinvolto ricercatori italiani dell’Unità operativa di Geriatria del Policlinico San Martino di Genova e dell’Ospedale di Perugia. Si tratta di uno studio clinico di fase 1 sulla dieta che imita il digiuno in pazienti con diagnosi di decadimento cognitivo lieve o morbo di Alzheimer lieve.

“Lo studio clinico è attualmente attivo e non ancora concluso – racconta la Dott.ssa Angelica Persia, biologa nutrizionista e responsabile della parte nutrizionale degli studi clinici sulla dieta mima-digiuno attivi presso l’Ospedale San Martino di Genova – ma, analizzando i dati ad oggi disponibili, possiamo dire che gli eventi avversi registrati sono di lieve o di moderata intensità e che l’aderenza alla dieta è piuttosto soddisfacente. Bisogna tenere a mente che si tratta di pazienti anziani con radicate abitudini alimentari in cui l’introduzione di nuovi alimenti o protocolli alimentari non sempre è ben accetta; inoltre, la patologia in questione è di per sé difficile da gestire da parte dei caregiver e la partecipazione ad uno studio clinico richiede molto impegno non solo da parte dei pazienti, ma anche da chi si prende cura di loro. Eppure, i nostri pazienti sono stati piuttosto fedeli al protocollo. Infatti, i primi dati ci suggeriscono che 5 giorni di dieta mima-digiuno, una volta al mese, in questo piccolo gruppo di pazienti, è fattibile e sicura. Questi dati chiaramente dovranno poi essere confermati al completamento dello studio, quando saranno disponibili anche dati relativi ai marcatori di infiammazione, dello stress ossidativo e di danno neuronale”.

Ad oggi, il decadimento cognitivo è stimato essere intorno al 2.4% tra i 60 e 65 anni, 4.8% tra i 65 e 69 anni e 8.4% tra i 70 e 76 anni. Si tratta di una condizione frequente e si stima essere in aumento nei prossimi decenni in funzione di una aumentata aspettativa di vita. Al momento non si conosce una cura definitiva contro l’Alzheimer e quindi è fondamentale investire nella ricerca per studiare come ritardare l’esordio della patologia e rallentarne il decorso.