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Un algoritmo guiderà gli endocrinologi alla migliore terapia per l’acromegalia

È un algoritmo, una guida pratica alla scelta del trattamento più adatto, dopo l’intervento chirurgico, per le persone affette da acromegalia. L’acromegalia è dovuta ad un’eccessiva produzione da parte di un tumore ipofisario di origine neuroendocrina dell’ormone della crescita e alla conseguente elevata sintesi e secrezione epatica dell’IGF-I. Questo strumento, che rappresenta un ‘first’ nella gestione dell’acromegalia, è stato messo a punto dai medici e chirurghi di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS che si occupano dei pazienti acromegalici ed è stato pubblicato su “JCEM”, una delle riviste scientifiche internazionali più prestigiose del mondo in ambito endocrinologico dalla dottoressa Sabrina Chiloiro (nella foto) e colleghi. “Questo lavoro – afferma la dottoressa Chiloiro, Ricercatrice in Endocrinologia all’Università Cattolica, campus di Roma e Dirigente medico della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS, presso la UOC di Endocrinologia e Diabetologia diretta dal Professor Alfredo Pontecorvi, Ordinario di Endocrinologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma – consentirà ai pazienti di approdare più rapidamente alla migliore terapia e di ottenere così un miglior controllo della malattia, che finora poteva richiedere anche diversi anni di tentativi, con varie tipologie di trattamento.  Il nuovo algoritmo permette invece di orientarsi subito verso la terapia più adatta per ciascun paziente”.

Il trattamento dell’acromegalia, prevede come primo approccio l’intervento chirurgico, eventualmente seguito dalla terapia medica di prima linea con gli analoghi convenzionali della somatostatina; qualora il paziente non rispondesse alla terapia medica di prima linea, si ricorre alle seconde linee terapeutiche, con gli analoghi della somatostatina di seconda generazione o l’antagonista recettoriale del GH. Il lavoro pubblicato su JCEM ha coinvolto 67 pazienti affetti da acromegalia, tutti sottoposti ad intervento neurochirurgico e seguiti dagli endocrinologi di Fondazione Policlinico Gemelli, presso l’Ambulatorio di Patologia Ipotalamo-Ipofisaria. Questo lavoro rappresenta uno spaccato del lavoro quotidiano e multidisciplinare di medici e ricercatori di Fondazione Policlinico Gemelli e Università Cattolica del Sacro Cuore e coinvolge diversi Dipartimenti e Unità Operative come la Neurochirurgia, l’Otorinolaringoiatria, l’Anatomia Patologica, la Diagnostica per Immagini, e la Radioterapia. “Nello studio – spiega la dottoressa Chiloiro – abbiamo integrato tutti i fattori predittivi di risposta e di resistenza alla terapia con analoghi convenzionali della somatostatina, finora noti e i più innovativi biomarker del microambiente tumorale, quali il profilo dell’infiltrato infiammatorio. In questo modo abbiamo costruito un modello matematico e un algoritmo, basato su parametri clinici, biochimici, molecolari e morfologici. Tramite il nomogramma derivante dal modello matematico è possibile identificare la probabilità per ciascun singolo paziente di ottenere una buona risposta alla terapia con analoghi convenzionali della somatostatina, integrando i tre fattori di resistenza identificati: l’elevato rapporto delle cellule immunitarie CD68+/CD8+, l’assente o scarsa espressione del sottotipo 2A del recettore della somatostatina e la presenza di un residuo tumorale post-operatorio macroscopicamente evidente. Tramite questo strumento i pazienti a rischio di mancata risposta alla terapia di prima linea, con analoghi convenzionali della somatostatina potranno essere indirizzati precocemente ad una terapia di seconda linea, riducendo la durata di malattia non controllata, caratterizzata da elevati livelli plasmatici dell’ormone della crescita e dell’IGF-I. L’utilità di questo studio deriva anche dal fatto che tutti i parametri di resistenza che abbiamo individuato, sono facilmente acquisibili nel post-operatorio e questo ci permette di definire rapidamente il miglior approccio terapeutico per il nostro paziente, riducendo così la durata di malattia attiva. Va sottolineato infatti che la prolungata durata di malattia attiva, nel paziente acromegalico, è un fattore di rischio per la comparsa di comorbilità e complicanze sistemiche,di tipo metabolico, cardio-vascolare, muscolo-scheletriche con aumentato rischio di fratture vertebrali da fragilità ed anche oncologiche: i pazienti con malattia acromegalica persistentemente attiva sono ad aumentato rischio di tumore della tiroide, della prostata, della mammella e di lesioni pre-cancerose, come polipi del colon. E dunque, ridurre la durata di malattia attiva, passando subito ad una terapia efficace, migliora l’outcome di questi pazienti e riduce il rischio di comparsa di complicanze. L’idea di questo studio – prosegue la dottoressa Chiloiro – nasce in seno all’Arrigo Recordati Research Grant, vinto nel 2021 con un progetto sull’acromegalia. Questo lavoro scientifico rappresenta il primo risultato scaturito da questo progetto di ricerca”.

Questa malattia ha ancora un ritardo diagnostico stimato tra 5 e i 10 anni, nonostante la si ‘legga in faccia’ ai pazienti, che presentano alterazioni caratteristiche: il naso si fa via via più largo, compaiono spazi tra i denti incisivi anteriori, il prognatismo diventa sempre più marcato. I pazienti raccontano inoltre che hanno dovuto far allargare gli anelli e comprare scarpe di 2-4 numeri più grandi del solito. Sono segni tipici, che vengono però spesso sottostimati. Per questo è importante diffondere la conoscenza di questa patologia anche tra i medici del territorio, i fisiatri, gli odontoiatri e tra tutti gli specialisti che potrebbero incontrarli. A questo proposito, la prossima primavera, gli endocrinologi di Fondazione Policlinico Gemelli organizzeranno un corso sulla diagnosi di queste malattie ipofisarie rare, indirizzato ai medici del territorio.  

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