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Pubblicato sulla prestigiosa rivista «Nature» lo studio “Suppression of a SARS-CoV-2 outbreak in the Italian municipality of Vo'” a firma del prof. Andrea Crisanti, Direttore del Dipartimento di medicina Molecolare dell’Università di Padova e del laboratorio di Microbiologia e virologia dell’Azienda Ospedale/Università di Padova e la dott.ssa Ilaria Dorigatti, del MRC Centre for Global Infectious Disease Analysis dell’Imperial College di Londra. Lo studio ha ispirato le azioni di sorveglianza implementate nella Regione Veneto, che sono risultate efficaci nel controllo di COVID-19 in questa regione d’Italia. Il 21 febbraio 2020 un residente del comune di Vo’, una piccola cittadina in provincia di Padovadi circa 3200 abitanti, muore di polmonite a causa di un’infezione da SARS-CoV-2. Si tratta del primo decesso di COVID-19 riscontrato in Italia dopo la comparsa della SARS-CoV-2 nella città cinese di Wuhan, nella provincia di Hubei. Le autorità regionali impongono prontamente l’isolamento dell’intero comune per 14 giorni. Informazioni sulla demografia, la presentazione clinica, il ricovero ospedaliero, la rete di contatti e la presenza dell’infezione da SARS-CoV-2 vengono raccolte effettuando tamponi nasofaringei sull’85,9% e sul 71,5% della popolazione di Vo’ in due punti temporali consecutivi. «La prima indagine, condotta all’inizio dell’isolamento della città – spiega il prof Crisanti – rivela una prevalenza di infezione del 2,6%. La seconda indagine, eseguita alla fine del blocco, evidenza una prevale nza dell’1,2%. In particolare, il 42,5% delle infezioni confermate da SARS-CoV-2 ed identificate nelle due indagini sono asintomatiche, ovveronon presentano sintomi al momento del test con tampone, né li hanno sviluppati in seguito. L’intervallo seriale medio è di 7,2 giorni. Particolarmente interessante è ciò che emerge dallo studio sull’infezione da Covid-19 nei bambini – continua il prof Crisanti. I bambini sembrano ammalarsi di meno e con pochi sintomi, dimostrando una certa resistenza al virus. A Vo’ su un campione di 234 bambini da 1a 10 anni nessuno è risultato positivo al tampone, anche se spesso hanno convissuto con genitori infetti.» Lo studio mostra come non si rilevi alcuna differenza statisticamente significativa nella carica virale delle infezioni sintomatiche rispetto a quelle asintomatiche. Questo risultato implica che, potenzialmente, anche le infezioni asintomatiche o paucisintomatiche potrebbero contribuire alla trasmissione di SARS-CoV-2. «Il dato sugli asintomatici è il risultato chiave dello studio – dice il prof. Enrico Lavezzo, docente del Dipartimento di medicina Molecolare dell’Università di Padova. Facendo una fotografia della popolazione di Vo’ abbiamo osservato che circa la metà delle persone positive al tampone erano asintomatiche al momento del test, mentre una parte di esse avrebbe sviluppato i sintomi nei giorni successivi. Questo ci dice che se abbiamo un certo numero di persone sintomatiche che troviamo positive in un determinato momento, ce ne dobbiamo aspettare altrettante asintomatiche, più difficili da individuare e isolare. E dato che la carica virale è comparabile nei due gruppi, è evidente come anche gli asintomatici possano contribuire alle catene di trasmissione, come abbiamo anche appreso da alcuni racconti di cittadini di Vo’. Infatti, se da un lato è verosimile pensare che un soggetto sintomatico trasmetta l’infezione con più facilità, espellendo ad ogni colpo di tosse grandi quantitativi di virus, dall’altro è ragionevole pensare che i sintomi possano anche indurlo a rimanere a casa, limitando di conseguenza il numero dei contatti e le possibilità di contagio. Un soggetto asintomatico, invece, non è consapevole di essere infetto, e quindi si comporterà come se non avesse la malattia e continuerà a vedere altre persone, anche molte, a seconda del suo stile di vita e della sua occupazione.» «Questo lavoro mette in risalto l’efficacia delle strategie di contenimento messe in atto a partiredall’identificazione del primo paziente positivo al SARS CoV-2 residente nella piccola comunità di Vo’ – dice la dott.ssa Elisa Franchin, del Dipartimento di medicina Molecolare dell’Università di Padova e prima co-autrice dello studio. Dal punto di vista tecnico tutto questo è stato possibile utilizzando le più moderne ed avanzate tecnologie diagnostiche che ci sono state messe a disposizione ma anche grazie al lavoro di figure professionali con competenze diverse: dall’infermiere al segretario, dal tecnico albiologo, al medico. Senza dimenticare la massivapartecipazione della popolazione di Vo’ che ci farà capire molto su questo virus la sua trasmissione e come poterci difendersi nel prossimo futuro.» «Lo studio di Vo’ ha dimostrato che identificare precocemenete clusters di infezioni e intervenire in maniera tempestiva con l’isolamento dei casi infetti sono strategie in grado disopprimere la trasmissionee bloccare sul nascere un’epidemia – dice la dott.ssa Ilaria Dorigatti, del MRC Centre of Global Infectious Analysis dell’Imperial College di Londra. Questo risultato, ottenuto a fine febbraio, è estremamente attuale visto il rischio di nuovi clusters di infezioni e di una seconda ondata. Ci sono ancora molte domande aperte sul virus, come ad esempio il ruolo dei bambini e il contributo delle infezioni asintomatiche o paucisintomatiche alla trasmissione. Trovare risposte a queste domande è di fondamentale importanza per identificare strategie di controllo mirate e sostenibili per combattere la trasmissione di SARS-CoV-2 in Italia e nel mondonei prossimi mesi.»