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Quando parliamo di salute maschile, patologie sessuali e urologiche, terapie innovative, parliamo di numeri rilevanti ma, tuttora, penalizzati da reticenze e tabù che frenano il ricorso alle cure. Basti pensare che, secondo recenti statistiche, 9 milioni di uomini italiani non si sottopongono a una visita andrologica neppure una volta nella vita e solo il 20% effettua controlli preventivi ma, spesso, lo fa quando il problema è già avanzato. Se poi i disturbi hanno a che fare con la sfera sessuale, gli uomini attendono anche 5-6 anni prima di rivolgersi a uno specialista. Eppure, le medesime statistiche segnalano che ogni anno a 7 milioni di uomini italiani viene diagnosticata l’ipertrofia prostatica, che l’incontinenza urinaria riguarda il 12% della popolazione maschile, che il cancro alla prostata registra, ogni anno, 36.000 nuove diagnosi ed è la più diffusa neoplasia fra  gli “over 50”. Ancora, si stima che il 50% dei pazienti che abbiano subìto l’asportazione della prostata per tumore possano sviluppare problemi di Disfunzione Erettile, patologia che nel 30-35% dei casi è resistente alle terapie farmacologiche.

Lo conferma il dottor Edoardo Pescatori, andrologo con ampie esperienze negli Stati Uniti, attività clinica in Lombardia ed Emilia Romagna, oggi uno dei massimi esperti negli impianti di protesi peniene per il trattamento della Disfunzione Erettile. “Il rapporto degli uomini italiani con gli specialisti urologi e andrologi”– ricorda Pescatori – “è discontinuo e frenato da tabù culturali che, in molti casi, evitano di arrestare il decorso della malattia e precludono la possibilità di avviare percorsi di cura risolutivi. E’ altrettanto vero che molte innovazioni  terapeutiche, introdotte in questi anni, non vengono adeguatamente segnalate e proposte neppure dai medici non specialisti. Se parliamo, per esempio, di Disfunzione Erettile, problema cui va incontro la maggior parte dei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale, cioè l’asportazione della prostata a seguito di un tumore, non dobbiamo dimenticare l’impatto devastante per la vita quotidiana, soprattutto per uomini giovani e con ampie prospettive di futuro. In questo settore la tecnologia biomedicale ha però fatto passi da gigante e, oggi, sono disponibili protesi peniene impiantabili, efficaci e risolutive per ripristinare le funzioni fondamentali compromesse dall’intervento”.

Ma vediamo più da vicino le innovazioni biomedicali per la Disfunzione Erettile, o D.E., che la moderna andrologia definisce “ampiamente risolutive“. Dal punto di vista clinico, la D.E. è definita l’incapacità, ricorrente o costante, di raggiungere e/o mantenere un’erezione adeguata a un soddisfacente rapporto sessuale. La patologia, prevalente dopo la prostatectomia, presenta vari stadi di complessità e gravità e, soprattutto nella fase iniziale, viene fronteggiata con terapie farmacologiche. In molti casi, però, la risposta ai trattamenti orali, o iniettivi con prostaglandine iniettate direttamente nel tessuto del pene, può essere inadeguata o, addirittura, assente. In questi casi, l’impianto di una Protesi Peniena può essere risolutivo per ripristinare la piena funzionalità  dell’organo coinvolto e, quindi, l’erezione. E non è un caso che i due Registri di Raccolta Dati disponibili su questa patologia segnalino come prima causa per il ricorso all’impianto protesico proprio la Disfunzione Erettile a seguito di asportazione del tumore alla prostata, un dato che, in Italia, riguarda oltre il 35% dei pazienti. Il carcinoma prostatico è il più frequente nella popolazione maschile dei Paesi occidentali e la chirurgia è “penalizzata” da successiva Disfunzione Erettile nel 50% dei casi.

Tecnicamente, l’intervento prevede l’inserimento di due piccoli cilindri nei corpi cavernosi, cioè le due camere di erezione del pene, per fornire all’organo la rigidità sufficiente a una corretta  penetrazione. Due i tipi di cilindri impiantabili: quelli di consistenza costante, cioè protesi semirigide, oppure di consistenza variabile, cioè protesi idrauliche. In particolare queste ultime consentono una erezione virtualmente non difforme da quella naturale, con la medesima sensibilità e capacità di eiaculazione precedenti l’intervento, e con immutata funzione urinaria. Con la protesi idraulica, l’erezione viene indotta azionando volontariamente e manualmente un piccolo dispositivo di controllo che viene collocato sotto la cute dello scroto, ricordando che tutti i componenti della protesi non sono visibili dall’esterno, un aspetto fondamentale per l’accettazione e la rassicurazione dei pazienti.

Per la riconosciuta efficacia clinica, le protesi peniene sono indicate anche dalle  Linee Guida europee sia per pazienti non rispondenti ad altri trattamenti, sia per chi cerchi  una soluzione terapeutica definitiva a gravi problema di natura sessuale. Per questo, un accesso più agevole alle nuove soluzioni biomedicali è un obiettivo che la sanità moderna deve perseguire e che gli specialisti andrologi da tempo sollecitano, per dare ai pazienti cure più efficaci e risolutive.

Commentando il contesto sanitario attuale, il dottor Pescatori ricorda  infatti che “l’accesso agli impianti  protesici nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale non è, purtroppo, agevole per tutti i pazienti – La  protesi peniena è una prestazione prevista dalla Sanità pubblica, ma il sistema dei DRG prevede rimborsi che risultano tuttora inadeguati. Contrariamente a quanto ormai consolidato sul fronte femminile, le protesi peniene dopo una chirurgia radicale pelvica non sono ancora inserite nei LEA e sono gestite in modo difforme dalle varie Regioni. Da qui, la presenza di pochi Centri specializzati e la scarsa diffusione di questa soluzione, nonostante ne siano ampiamente riconosciute l’efficacia terapeutica e il carattere di intervento non “estetico” ma destinato ad affrontare aspetti critici legati alla salute psicofisica di migliaia di uomini, di ogni età”.