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La contaminazione di condotte idriche con batteri o virus, oltre a costituire un problema di salute pubblica, rappresenta una questione di biosicurezza particolarmente rilevante per ogni Paese.

Sebbene i sistemi di allerta precoce che monitorano la qualità delle acque potabili siano necessari per tutelare la popolazione, le principali tecniche per il rilevamento dei patogeni richiedono attrezzature costose, personale specializzato e un consumo massiccio di reagenti e attrezzatura da laboratorio monouso.

I biosensori, ovvero dispositivi analitici che combinano componenti biologici e rivelatori fisico-chimici per individuare sostanze chimiche e biologiche, rappresentano dunque un’alternativa valida ed efficace, rispetto alle metodiche di rilevamento attualmente in uso.

Un team di ricerca del Dipartimento di Scienze e biotecnologie medico-chirurgiche della Sapienza di Roma ha realizzato un nuovo biosensore capace di rilevare concentrazioni molto basse di Escherichia coli, scelto come patogeno modello.

I risultati dello studio, supportato dal programma Nato Science for peace and security e frutto della collaborazione della Sapienza con il Cnr, la Jeonbuk national university e l’Air force research laboratory, sono stati pubblicati sulla rivista “Environmental Science: Nano”.

“Il biosensore – spiega Luciano De Sio, coordinatore dello studio – riesce a rilevare il patogeno grazie alle proprietà chimico-fisiche delle nanoparticelle d’oro funzionalizzate con un anticorpo diretto contro un recettore specifico e immobilizzate su un substrato di vetro”.

I risultati ottenuti hanno dimostrato l’efficacia dell’anticorpo nel riconoscere in modo selettivo le cellule di E.coli, grazie all’interazione univoca tra antigene e anticorpo.

Questo meccanismo chiave-serratura determina un cambiamento nel mezzo che circonda le AuNRs, a seguito del quale avviene una variazione del colore proporzionale alla concentrazione del batterio.

“Il biosensore realizzato – continua Luciano De Sio – mostra un limite di rilevamento di 8.4 CFU/mL, che è un ordine di grandezza inferiore ad altri tipi di biosensori plasmonici già riportati in letteratura, quindi più sensibile. Inoltre, gli esperimenti di riconoscimento eseguiti con altri ceppi batterici (come Salmonella thyphimurium) confermano la specificità del biosensore”.  

Per dare una seconda vita al biosensore e quindi ridurne al minimo l’impatto ambientale ed economico, il gruppo di ricerca ha sfruttato le proprietà degli AuNRs di saper convertire la luce in calore. Così il biosensore può effettuare un processo di disinfezione fototermica con due sorgenti laser e, dopo un’opportuna procedura di lavaggio, è pronto per essere riutilizzato in altri esperimenti di riconoscimento.

Questo studio offre dunque l’opportunità di realizzare biosensori di prossima generazione che oltre all’efficacia e alla sensibilità nel biorilevamento siano anche ecologici e sostenibili.

“I prossimi passi – conclude Luciano De Sio – saranno quelli di sfruttare l’enorme versatilità del dispositivo per utilizzarlo in altri campi di applicazione, quali il monitoraggio di marker tumorali, il riconoscimento specifico di anticorpi, come quelli sviluppati a seguito di infezione da SARS-CoV-2, ma anche la realizzazione di biosensori indossabili per il monitoraggio multiplo di analiti di interesse medico, anche in condizioni di microgravità. L’auspicio è quello di sfruttare il processo di disinfezione fototermica indotto dalla luce solare per generare una nuova classe di dispositivi biomedici sostenibili e riutilizzabili”.

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