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Un basso livello di calcio nel sangue in pazienti Covid-19, indipendentemente dalla presenza di altre patologie, è un fattore predittivo dell’andamento della malattiae potrebbe aiutare a identificare in anticipo i pazienti più a rischio con una malattia più severa.

Sono questi i risultati emersi da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “Endocrine” e recentemente selezionato tra i prestigiosi Springer Nature 2020 Highlights, condotto dal dottor Luigi Di Filippo, medico specializzando in Endocrinologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, e coordinato dal professor Andrea Giustina, primario di Endocrinologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, ordinario e Direttore della Scuola di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele e presidente della European Society of Endocrinology.

Lo studio è stato condotto analizzando i dati di 531 pazienti Covid-19 giunti presso il Pronto Soccorso dell’IRCCS Ospedale San Raffaele tra marzo e aprile per cui era disponibile, nell’ambito della valutazione iniziale di routine, il dosaggio della calcemia. 

Sono stati esclusi i dati dei pazienti con patologie pregresse e/o terapie concomitanti che potessero di per sé produrre ipocalcemia, come una malattia renale cronica, terapie diuretiche e l’osteoporosi.

“L’idea di condurre questa analisi retrospettiva è nata in seguito alla segnalazione di un caso Covid-19 presentatosi a Brescia che riportava un quadro di ipocalcemia particolarmente grave. 

Abbiamo così voluto verificare se potesse trattarsi di un dato sporadico o, invece, fosse costante nella popolazione con una forma aggressiva di Covid-19 che accedeva in ospedale”spiega il professor Andrea Giustina.

Dallo studio dei dati raccolti è emerso che l’ipocalcemia fosse presente nell’80% circa dei pazienti Covid-19 più gravi, che necessitavano quindi di un ricovero ospedaliero, e che questi presentavano livelli di calcio notevolmente più bassi rispetto a coloro che non venivano ospedalizzati. 

Il 69% dei pazienti ipocalcemici era di sesso maschile e con un’età media di 59 anni. 

Sono così risultati evidentI la notevole frequenza dell’ipocalcemia nella popolazione Covid-19 e la sua correlazione con la severità della patologia. 

“In base alle evidenze riscontrate si suggerisce che, all’arrivo in pronto soccorso, la valutazione iniziale del livello di calcio ionizzato, insieme ai diversi parametri clinici e biochimici già utilizzati, aiuterebbe a identificare da subito i pazienti più gravi. 

Inoltre, poiché l’ipocalcemia può avere un impatto negativo su manifestazioni cardiovascolari e neurologiche, arrivando ad essere letale se grave ed acuta, è necessario per tutti i pazienti Covid-19 ospedalizzati un attento monitoraggio del calcio e un’adeguata integrazione dello stesso, quando indicato”, spiega Luigi Di Filippo, primo autore dello studio.

I dati sull’ipocalcemia registrati in questo studio si inseriscono all’interno di un’altra problematica riscontrabile nella popolazione italiana: la mancanza di vitamina D, una sostanza con, tra gli altri, un effetto benefico sulle difese immunitarie. Questa condizione è nota come Ipovitaminosi D.

La vitamina D è inoltre un fattore fondamentale nell’assorbimento del calcio, come già evidenziato a fine febbraio 2020 in una lettera pubblicata sul “British Medical Journal” dal professor Giustina, che conclude: “il fatto di aver osservato una calcemia così bassa è verosimilmente da leggere, almeno in parte, in questo contesto di carenza generalizzata di vitamina D nella nostra popolazione”.