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Il prof. Francesco Scolari, direttore della Nefrologia dell’Università e degli Spedali Civili di Brescia, ha coordinato, sotto l’egida della Società Italiana di Nefrologia e con la partecipazione di molti centri Nefrologici Italiani, uno studio pilota randomizzato e controllato di confronto fra rituximab e terapia ciclica steroide-ciclofosfamide per il trattamento della glomerulonefrite membranosa, una malattia infiammatoria renale autoimmune, caratterizzata da elevata perdita di proteine nelle urine, causata da specifici anticorpi diretti contro proteine delle cellule renali. I risultati dello studio sono stati recentemente pubblicati sulla prestigiosa rivista “Journal of American Society of Nephrology”, rivista ufficiale dei nefrologi americani.Il trattamento gold-standard della glomerulonefrite membranosa è una terapia ciclica di 6 mesi, che alterna steroide e ciclofosfamide, un agente citotossico, in grado di indurre remissione nel 60-80% ad un anno. Tuttavia, i timori per alcuni effetti collaterali della ciclofosfamide, quali tossicità gonadica e midollare e potenziale oncogenicità, ne hanno limitato l’impiego.Il ruolo chiave della formazione di anticorpi anti-PLA2R nella patogenesi della malattia ha recentemente suggerito l’impiego di una terapia alternativa, il rituximab, un anticorpo monoclonale in grado di ottenere una deplezione dei linfociti B senza avere gli effetti collaterali della ciclofosfamide. «Studi clinici hanno già fornito dati incoraggianti sul possibile ruolo del rituximab nella glomerulonefrite membranosa – dichiara il prof. Scolari – ed il farmaco è stato ben tollerato con modesti eventi avversi. Tuttavia, solo uno studio di confronto diretto poteva chiarire se il rituximab fosse efficace quanto la terapia ciclica ciclofosfamide-steroide. In considerazione della comparabile efficacia e profilo di sicurezza dei due trattamenti nel breve periodo e potenziale minor tossicità nel lungo termine del rituximab, questo anticorpo monoclonale può essere considerato la prima linea di terapia della nefropatia membranosa, anche in relazione alla necessità di ri-trattamento della malattia, caratterizzata da frequenti recidive. La terapia ciclica ciclofosfamide-steroide potrebbe essere riservata ai pazienti resistenti al rituximab o a quelli che hanno una più severa malattia che richiede una più rapida remissione». Lo studio, che ha arruolato 74 pazienti e si è protratto per due anni, ha mostrato che rituximab e terapia ciclica hanno effetti comparabili sulla remissione della malattia ed un analogo profilo di sicurezza nel breve termine. Lo schema con ciclofosfamide e steroide determinava una più precoce remissione; tuttavia, a 24 mesi, la remissione della proteinuria non differiva tra i due gruppi, verificandosi in circa l’80% dei pazienti; in entrambi i gruppi, la proteinuria si riduceva da 6 a 0.7 grammi/die. Gli effetti comparabili delle due terapie erano imputabili alla loro capacità di indurre una significativa riduzione del titolo degli anticorpi anti-PLA2R, che precedeva la riduzione della proteinuria.Per confermare questi risultati è tuttavia necessario uno studio più ampio, non facile da realizzare per la bassa prevalenza della malattia. La ulteriore stratificazione dei pazienti a rischio sulla base di marcatori clinici e biologici potrebbe permettere una scelta più appropriata della terapia, con l’obiettivo di personalizzarla ulteriormente.