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Quello tra gli italiani e la scienza è un rapporto consolidato, che ha attraversato il recente periodo di incertezze mantenendo costanti i tratti principali fatti di curiosità, rispetto e riconoscimento di un ruolo nel progresso sociale. È cambiata tuttavia la sfera delle aspettative, sia sul sapere scientifico in sé, sia sulle sue applicazioni pratiche immediate. Questi i risultati della ricerca sociale che Yakult Italia ha commissionato ad AstraRicerche, condotta a fine maggio 2020 su un campione rappresentativo della popolazione italiana tra i 18 e i 65 anni e confrontata con l’analoga rilevazione del 2019.

La scienza incuriosisce la maggioranza degli italiani, molti dei quali cercano di tenersi aggiornati sulle ultime scoperte scientifiche soprattutto seguendo documentari o programmi di divulgazione scientifica o, in seconda battuta, attraverso riviste cartacee o online. “I dati del 2020 sono di poco inferiori a quelli del 2019” – afferma Cosimo Finzi, direttore di AstraRicerche – “Un lieve allontanamento dalla scienza e dall’informazione scientifica dovuto anche alla massiva infodemia dell’ultimo periodo, che può avere da una parte allontanato la popolazione per reazione, dall’altra monopolizzato l’attenzione a discapito di saperi scientifici più ampi e differenziati”.

Per quanto riguarda il grado di comprensione, anche nel 2020 restano 2 su 5 gli italiani che – nonostante la massiccia presenza mediatica di scienziati e medici negli ultimi mesi – considerano le informazioni scientifiche troppo difficili da capire. Aumenta inoltre, di oltre il 10%, la quota di chi dichiara di non sapere quali scoperte scientifiche ritenere valide, date le frequenti contraddizioni. “Scontiamo il fatto che da sempre la scienza è raccontata come una cavalcata verso conquiste della conoscenza sempre più avanzate, cosa che è vera nel lungo periodo ma è totalmente inadatta a descrivere ricerche che sono in corso – dichiara Barbara Gallavotti, divulgatrice scientifica e consigliere per il coordinamento scientifico del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, che ha patrocinato la ricerca – “Raccontare in modo chiaro un risultato scientifico è fondamentale, ma è forse ancora più fondamentale far comprendere a monte che il dibattito è parte integrante del processo di scoperta, a patto che parta da una base di conoscenze condivise”.

Il periodo trascorso ha avvalorato negli italiani la convinzione che “si dovrebbero ascoltare maggiormente gli scienziati prima di prendere decisioni sul futuro dei Paesi e del Pianeta”: concorda, molto o abbastanza, circa l’83% degli intervistati. D’altra parte, il continuo confronto del Governo con il mondo scientifico durante questi ultimi mesi ha fatto sì che diminuisse la quota di chi teme che in futuro la politica dia poco ascolto alla comunità scientifica.

Nonostante il 73% degli intervistati affermi che la credibilità di una notizia scientifica sia strettamente legata a pubblicazioni approvate dalla comunità scientifica, il fattore che nel concreto sembra dare maggiore credibilità a una notizia è quello della vicinanza. Si tende infatti a credere a scienziati, istituzioni e notizie con cui sentiamo di avere qualcosa in comune: la voce di un’università nota pesa quindi di più di quella di organismi internazionali lontani come l’OMS, e circa metà degli intervistati dichiara di credere a una notizia se essa conferma qualcosa che già sa o se la sente da uno scienziato molto visto sui media. Solo 1 italiano su 2 effettua inoltre una qualche forma di fact-checking, e solo 1 su 3 controlla se la notizia riporta una fonte.

Per indagare la capacità “attrattiva” dei diversi elementi che compongono una notizia scientifica, all’interno della ricerca è stata inserita una fake news, creata ad arte nel layout di una nota app di messaggistica, che correlava la diffusione geografica del Coronavirus alla coltivazione di grandi quantità di riso. La notizia è stata ritenuta vera o credibile da ben 1 intervistato su 4, e ne ha lasciata nell’indecisione una quota paragonabile. Purtroppo, la notizia viene considerata “veritiera” soprattutto dai più giovani: ci ha creduto infatti circa 1/3 dei 18-34enni, contro il 17% dei 55-65enni. Sorprende anche che gli appartenenti alla classe sociale con maggiori risorse – per i quali ci si aspetta una maggiore facilità nell’accedere alle informazioni e nel coglierne la “qualità” – nel 30% dei casi non abbiano ritenuto la notizia un falso. “La facilità di diffusione delle fake news è un problema molto ampio, che trova particolare spazio in tutti i settori collegati alla salute” – osserva Arianna Rolandi, direttore scientifico e relazioni esterne di Yakult Italia – “Quello dell’alimentazione non fa eccezione, il che mette sempre più a dura prova la credibilità del settore stesso. Per questo sosteniamo da anni iniziative educazionali, rivolte sia alla cittadinanza sia ai professionisti della comunicazione, in stretta collaborazione con le Istituzioni Scientifiche più accreditate, tra cui spicca il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano”.

Ma quanto tempo serve, secondo gli italiani, perché la scienza dia risposte chiare davanti a un nuovo fenomeno? Meno di un anno per quasi 1 italiano su 2, e addirittura meno di 6 mesi per 1 intervistato su 5. “Probabilmente – conclude Cosimo Finzi – l’attesa pressante di un vaccino contro il Coronavirus è una “molla” che spinge molto in alto le aspettative sulla rapidità dei tempi, nonostante lo stesso mondo scientifico abbia più volte avvisato della necessità di tempi ben maggiori”.