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L’Assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera, lo ribadisce chiaramente:”Eliminare l’Epatite C è una priorità assoluta, e la Regione Lombardia farà tutto quanto nei suoi mezzi per favorire con tutti gli specialisti infettivologi di SIMIT e epatologi di AISF le azioni di screening per far emergere le migliaia di pazienti nel territorio affetti dal virus e condurli nei centri prescrittori al percorso di terapia che in poche settimane permette di eliminare la malattia e tornare alla vita”. Una conferenza stampa di lancio nelle prossime settimane è allo studio. Intanto nelle 17mila farmacie italiane sono disponibili per la lettura di tutti un milione e centomila copie dei magazine FarmaMed ove, per iniziativa di SIMIT, sono contenute informazioni e indicazioni su come accertarsi del proprio stato e cogliere le straordinarie opportunità offerte dalla terapia.

In Lombardia si stima che al 2014 siano state seguite presso i centri ospedalieri della regione circa 40mila persone con infezione da HCV. A marzo 2019 risultavano trattati, o in trattamento, più di 35mila pazienti. “Abbiamo portato avanti un lavoro di monitoraggio nei luoghi più a rischio, come le carceri: abbiamo fatto lo screening del 95% della popolazione carceraria lombarda – ha sottolineato Giulio Gallera, l’assessore. – Nei prossimi mesi dovremo raggiungere i cittadini che non hanno sintomi e ci impegneremo attraverso il coinvolgimento dei principali stakeholder, come i medici di medicina generale e il network delle farmacie, strumenti fondamentali per veicolare il messaggio. Le campagne di informazione sono determinanti per favorire prevenzione, screening e consapevolezza dei cittadini”.

Nuove strategie per eliminare il virus dell’Epatite C presentate al convegno “Epatite C: stato dell’arte e modelli per l’emersione del sommerso”. L’iniziativa, patrocinata da Regione Lombardia e da SIMIT – Società italiana di Malattie Infettive e Tropicali, organizzata con il contributo non condizionato di Gilead, si è tenuta a Milano presso la Sala Pirelli del Palazzo Pirelli.

L’impostazione proposta si basa su una microeliminazione mediante screening di particolari gruppi a più alta prevalenza, le cosiddette key population. Anzitutto, gli screening presso i SerD e nelle carceri devono arrivare al 100%, al fine di analizzare in modo massiccio la popolazione tossicodipendente e quella carceraria, tra le più esposte al contagio del virus. Va inoltre ricordato che in Italia vivono oltre 5 milioni di immigrati, più o meno interessati in percentuale dall’epatite C, a seconda del Paese di provenienza. Nei primi trattamenti le persone con HCV immigrate non sono state numerose. Per avere un paese libero da HCV bisogna far emergere il sommerso e favorire l’accesso alle cure anche in queste popolazioni. Vanno infine indirizzati verso i centri di trattamento i pazienti già diagnosticati, ma non ancora trattati, che sarebbero ancora non pochi.

Grande attenzione deve essere riservata anche alla prima generazione esposta al virus, contagiata soprattutto prima dell’introduzione di materiale monouso, nell’era della sterilizzazione precaria di siringhe.

“Abbiamo delle indicazioni che ci portano ad avere la possibilità di utilizzare dei modelli – spiega il Prof. Massimo Galli, Presidente SIMIT (nella foto). – Un modello valido ad esempio è quello proposto dall’Istituto Superiore di Sanità, che consiste nell’effettuare uno screening definito per classi di età: prima rivolto alle persone nate tra il 1968 e il 1988, poi un altro screening di coloro che sono nati dal ’48 al ’67. Esistono anche altre possibilità: in Lombardia, ad esempio, se si procedesse nei prossimi 5 anni alla chiamata attiva di due classi di nascita all’anno nella fascia degli attuali 55-65enni,  si dovrebbero poter individuare oltre 12mila persone non consapevoli di essere portatrici HCV, sopportando un costo complessivo da parte della Regione che, comprendendo il costo del trattamento, risulterebbe molto inferiore ai costi diretti e indiretti da sopportare nel caso in cui la malattia, non riconosciuta, continuasse a progredire nelle persone colpite. È tempo di agire, scegliendo come”.

“In collaborazione con l’Università di Tor Vergata abbiamo realizzato valutazioni sulle nuove strategie di screening che riguardano non solo l’efficacia, ma anche la sostenibilità – aggiunge Loreta Kondili che presso l’ISS coordina lo studio PITER – È emerso che sia le strategie universali che quelle per le coorti di nascita, utilizzate per testare le popolazioni con la prevalenza più alta, permettono un guadagno in termini di salute nel lungo periodo che va oltre i costi economici. Questo studio ha poi evidenziato che la strategia più sostenibile è basato su uno screening graduato, per coorti di età”.

L’emersione del sommerso è un punto chiave per il prossimo futuro nella lotta all’epatite. Dopo aver trattato circa 185mila persone fino alla fine di giugno 2019, vi è il rischio di arrestare questo processo virtuoso se non si identificano quelle persone portatrici del virus ancora inconsapevoli di essere infette. “È importante farsi carico di questa ricerca e dell’implementazione di queste nuove terapie, non solo per la salute individuale, ma anche per avviare un ragionamento basato sul concetto di terapia come forma di prevenzione: più virus eliminiamo nelle persone che lo portano, meno il virus circola nel Paese. L’obiettivo è dunque considerare il problema anche sul piano della sanità pubblica” sottolinea il Prof. Galli.

“L’ipotesi della proroga del fondo presso AIFA per i farmaci innovativi consentirebbe di mantenere un sicuro finanziamento per un ulteriore periodo di trattamento dell’epatite C e sarebbe un supporto fondamentale per pervenire all’obiettivo definito dall’OMS dell’eliminazione del virus HCV entro il 2030 – conclude il Prof. Galli. – È importante che però tutte le regioni investano sulla emersione del sommerso come finora è successo solo in 3 o 4 casi”.