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Negli ultimi vent’anni l’uso dell’interferone beta ricombinante nel trattamento della sclerosi multipla ha cambiato la qualità di vita di chi soffre di questa malattia. Il meccanismo d’azione di questa citochina – solitamente prodotta dal nostro organismo per organizzare la risposta immunitaria contro le infezioni virali – nel trattamento della SM è però poco chiaro, così come rimane poco chiaro il meccanismo alla base della malattia. In uno studio pubblicato lo scorso 21 agosto su Scientific Reports, i ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – una delle 18 strutture d’eccellenza del Gruppo ospedaliero San Donato – e dell’Istituto Superiore di Sanità hanno scoperto che in presenza della malattia numerosi geni regolati dagli interferoni prodotti normalmente dall’organismo risultano espressi in modo anomalo nelle cellule dei pazienti, ovvero sono sovraprodotti o sottoprodotti. Non solo, ma alcune anomalie riscontrate sono specifiche delle diverse fasi di malattia e vengono in parte corrette grazie alla somministrazione dell’interferone beta ricombinante. La ricerca, possibile grazie al sostegno della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla a un progetto multicentrico che coinvolge i gruppi coordinati da Cinthia Farina presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele e da Eliana Marina Coccia presso l’Istituto Superiore di Sanità, oltre a descrivere un nuovo meccanismo alla base della malattia e a spiegare il funzionamento di uno dei farmaci di prima linea usati nella Sclerosi Multipla, getta le basi per lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici e di nuovi marcatori predittivi della sua progressione.
I ricercatori del San Raffaele hanno analizzato in parallelo i campioni di sangue periferico di più di 500 pazienti con SM a diversi stati di progressione e i campioni di tessuto provenienti da topi affetti da encefalite autoimmune sperimentale, il modello sperimentale di questa malattia. Così facendo, hanno potuto misurare, sia nelle cellule umane che in quelle animali, i livelli di espressione dei geni regolati dagli interferoni, raccolti in maniera sistematica nel database Interferome sviluppato da Paul Herzog della Monash University in Australia, collaboratore dello studio. L’ipotesi dietro il lavoro è nata da una scoperta pubblicata di recente sempre dal gruppo di Cinthia Farina, capo unità di Immunobiologia delle Malattie Neurologiche, secondo cui singoli geni di suscettibilità alla SM coinvolti nella risposta agli interferoni, sono alterati nel sangue periferico dei pazienti, suggerendo la presenza, nella SM, di un’anomala risposta del sistema immunitario agli interferoni prodotti dall’organismo, e quindi un’anomala reazione antivirale. In effetti, la risposta ai virus risulta alterata in alcune popolazioni cellulari del sangue periferico dei pazienti con Sclerosi Multipla, come dimostrato dagli studi del gruppo di Eliana Coccia, da diversi anni focalizzati a definire perché una citochina, quale l’interferone beta, prodotta ed usata dal nostro organismo per combattere i virus possa risultare anche utile nella terapia di una malattia autoimmune quale la Sclerosi Multipla.