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Per la prima volta viene dimostrata l’efficacia della stimolazione magnetica transcranica, una stimolazione cerebrale non invasiva che rallenta la progressione della malattia di Alzheimer e migliora sia i parametri clinici dei pazienti che la loro vita di tutti i giorni. Lo studio è stato realizzato in collaborazione tra gli scienziati dell’ospedale di neuroriabilitazione Fondazione Santa Lucia IRCCS, l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e l’Università di Ferrara. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista di neurologia “Brain”, delineano nuove prospettive di trattamento per la malattia di Alzheimer basate non su una terapia farmacologica, ma su un approccio di tipo fisico. 

L’analisi è stata svolta su cinquanta pazienti con Alzheimer di grado lieve-moderato: a una metà è stata applicata la TMS per sei mesi con cadenza settimanale, all’altra metà una stimolazione placebo. Al termine del trattamento i pazienti sottoposti a TMS hanno mostrato punteggi decisamente migliori in una serie di scale cliniche che misurano le funzioni cognitive, ottenendo una riduzione di circa l’80% nella progressione dei sintomi della malattia. Un risultato supportato anche dai punteggi ottenuti nelle scale che misurano l’autonomia della vita quotidiana, che per i sei mesi della terapia sono rimaste sostanzialmente invariate nei pazienti trattati con TMS, mentre sono peggiorate in quelli sottoposti a stimolazione placebo. È stato dunque dimostrato che applicando la stimolazione magnetica transcranica per sei mesi si ottiene un effetto che non solo è sovrapponibile a quello dei farmaci, ma addirittura lo supera.  

La TMS è una tecnica non invasiva utilizzata da tempo in neurologia, in particolare nel recupero dell’ictus o nel Parkinson, basata sull’applicazione di campi elettromagnetici. A differenza dei farmaci di sviluppo recente, che operano sulle sostanze tossiche che si accumulano nel cervello di chi soffre di Alzheimer, questa metodica agisce sul meccanismo responsabile della formazione della memoria, che viene progressivamente danneggiato dalla malattia. Grazie poi alla plasticità cerebrale e all’elevata interconnessione del cervello, gli effetti postivi del trattamento si estendono anche ad altre aree. 

Utilizzando la TMS e l’elettroencefalogramma i ricercatori hanno inoltra monitorato l’attività celebrale come biomarker di risposta alla terapia, dunque come indicatore di efficacia della cura. Alla fine dei sei mesi nei pazienti trattati con TMS è stato rilevato nel cervello il rafforzamento di un circuito importante per le funzioni cognitive come apprendimento e memoria. I pazienti con placebo, invece, hanno mostrato un evidente calo dell’attività cerebrale. 

La TMS risulta essere una terapia non invasiva, personalizzabile e priva di effetti avversi. “Questi risultati sono particolarmente rilevanti perché sono stati ottenuti in una popolazione di pazienti di fase lieve-moderata, in cui il declino cognitivo avanza più rapidamente ed è meno responsivo ai farmaci” ha commentato il professor Alessandro Martorana, docente del Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Università di Roma “Tor Vergata” e co-autore dello studio. “Inoltre, la terapia è stata ben tollerata e non si sono osservati seri eventi avversi per i pazienti trattati con TMS per sei mesi. Un fatto che rende questa terapia particolarmente sicura nei pazienti con Alzheimer, una popolazione fragile e ad alto rischio che presenta molteplici comorbità. 

L’obbiettivo ora è replicare i risultati già ottenuti nell’ambito di un trial multicentrico di fase 3, che comprende un campione più grande di pazienti, per avere ampia conferma del metodo e poterlo utilizzare in futuro anche in combinazione con i farmaci in fase di sviluppo o gli anticorpi monoclonali.