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L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è centro coordinatore per l’Italia del Progetto di studio “Sex Difference”, ideato da Ilaria Capua, la nota virologa italiana, direttore dell’One Health Center dell’Università della Florida. Lo studio multicentrico si pone come obiettivo di scoprire le ragioni per cui se, come è accaduto in Italia, quello femminile è stato il sesso maggiormente colpito dall’infezione Covid-19, secondo le casistiche internazionali i casi più gravi e i decessi sono in prevalenza maschili. Un dato confermato anche nel nostro Paese dove il rapporto di mortalità per l’infezione da Coronavirus è di circa 3:1 a favore delle donne.

“Sex Difference” rientra in un progetto più ampio chiamato “E-ellow Submarine”, un sottomarino elettronico di pensatori provenienti da tutto il mondo che già durante i momenti più critici della pandemia si sono riuniti virtualmente, per trovare nuove linee guida in grado di condurre a una migliore gestione e preparazione delle crisi sanitarie. Quindi sotto la lente di ingrandimento sono finiti non solo la differenza di genere, ma anche il clima, gli animali, la vaccinazione contro l’influenza… fattori che potrebbero aver contribuito all’andamento dell’infezione. I gruppi di studio non sono formati solo da medici, ma anche da biostatistici, matematici, analisti, biologi…

Per quanto riguarda l’Italia, allo studio hanno aderito per il momento anche l’Humanitas Ospedale di Milano e il Policlinico di Monza, ma il gruppo è aperto a nuove collaborazioni e progetti. All’ospedale di Negrar è stata assegnata anche una borsa di studio all’interno del “One Health Leonardo Followship program” dell’University of Florida per una biologa, la dottoressa Michela Deiana, che si dedicherà allo sviluppo del progetto.

“Identificare le differenze con le quali il virus si manifesta in base al sesso del paziente assume una importanza rilevante per definire i protocolli di trattamento e per pianificare le misure di controllo dell’epidemia”, spiega la dottoressa Anna Beltrame, infettivologa del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia e principale sperimentatore italiano dello studio a cui collabora anche la dottoressa Lucia Moro, sempre di Negrar. Non a caso più di una volta, in occasione dei numerosi interventi televisivi, la dottoressa Capua ha proposto che le prime a ritornare al lavoro dopo il lockdown fossero proprio le donne.

“Sia il sesso che il ruolo sociale influiscono sulla patogenesi delle malattie virali – prosegue -. Le donne sono più esposte alla infezioni, perché in genere sono loro ad occuparsi dell’accudimento dei familiari e il numero di donne impegnate come operatore sanitario è superiore a quello degli uomini. Ma il sesso femminile sviluppa l’infezione con un grado di gravità minore rispetto agli uomini”.

Un ruolo lo hanno anche gli stili di vita. “Il decorso del Covid 19 è influenzato dalla presenza di altre patologie, tra cui diabete di tipo 2, ipertensione, malattie cardiovascolari – prosegue –. Queste condizioni sono prevalenti negli uomini e sono collegate a stili di vita più prettamente maschili”. A marcare ancora di più la differenza interviene la risposta immunitaria, sia innata che acquisita, più efficace nelle donne. Non a caso le malattie autoimmuni colpiscono maggiormente il sesso femminile. “Alla base di una diversa risposta immunitaria ci sono gli effetti degli ormoni sessuali che variano nel corso della vita modificando la suscettibilità e la risposta clinica alle infezioni”.

Tuttavia poiché c’è ancora molta incertezza riguardo ai fattori rilevanti e ai potenziali meccanismi coinvolti nell’infezione SARS COV 2, “l’analisi di una corte di pazienti dal ricovero alle dimissioni potrebbe fare chiarezza sull’argomento”, sottolinea Beltrame.

“Le strutture italiane arruoleranno 1.600 pazienti ricoverati per Covid 19 dal 20 febbraio al 30 maggio 2020 – continua l’infettivologa –. Trattandosi di uno studio retrospettivo, le informazioni sullo stato clinico al momento dell’ingresso in ospedale, sulle malattie in atto o pregresse, sugli stili di vita e sulla storia personale dei pazienti saranno tratte dalle loro cartelle cliniche. Il confronto sarà fatto su classi di età omogenee, avendo già osservato che le differenze sul decorso della malattia tra maschi e femmine sono più marcate nei giovani adulti”.

Degli oltre 1.600 pazienti arruolati, 400 saranno oggetto di studio anche per quanto riguarda i campioni sangue congelato donati dagli stessi pazienti a scopo di ricerca durante il ricovero. “Saranno testati il livello di alcuni ormoni per verificare quanto essi abbiano un ruolo protettivo nella donna in età fertile”, conclude la dottoressa Beltrame. I campioni di siero forniti da tutte le strutture aderenti allo studio saranno analizzati presso l’IRCCS di Negrar.