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Dallo scoppio dell’emergenza Covid-19 la mortalità per infarto acuto è quasi triplicata e sono diminuite del 40% le procedure salvavita di cardiologia interventistica perché la gente evita gli ospedali: se la tendenza dovesse persistere, la mortalità per infarto supererà di gran lunga quella direttamente associata alla pandemia. Questo il messaggio centrale di uno studio sull’esperienza clinica del Centro Cardiologico Monzino in epoca Covid, che conferma integralmente i dati internazionali, come sottolineano gli autori Giancarlo Marenzi, Responsabile della Unità di Terapia Intensiva Cardiologica, Antonio Bartorelli, Responsabile della Cardiologia Interventistica, e Nicola Cosentino dello staff dell’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica.

“Dall’ inizio dell’epidemia Covid – commenta Marenzi – i pazienti arrivano in ospedale in condizioni sempre più gravi, spesso già con complicanze aritmiche o funzionali, che rendono molto meno efficaci le terapie che da molti anni hanno dimostrato di essere salvavita nell’infarto come l’angioplastica coronarica primaria. Il perché risulta molto chiaro in tutti i Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia: il virus, che non sembra avere un ruolo primario nell’infarto, spinge la gente a rimandare l’accesso all’ospedale per paura del contagio. Purtroppo però questo ritardo è deleterio, e spesso fatale, perché impedisce trattamenti tempestivi e nell’infarto il fattore tempo è cruciale. Il Monzino, insieme ad altri ospedali e società scientifiche italiane e internazionali, dopo aver osservato il calo degli accessi al Pronto Soccorso, ha già lanciato, settimane fa, un appello a non rimandare le cure. Ora i dati di mortalità legata a questo calo ci danno ragione, e ci sollecitano a ripetere con più forza: per evitare il virus non dobbiamo rischiare di morire di infarto”.

Gli autori citano i risultati di un recente studio che ha analizzato l’attività di 81 Terapie Intensive Cardiologiche in Spagna nella settimana dal 24 febbraio al primo marzo, confrontandola con quella dello stesso periodo dello scorso anno. La loro attività si è ridotta significativamente a causa di un calo importante dei ricoveri per infarto, e la conseguente riduzione del 40 % delle procedure di angioplastica coronarica primaria. Una riduzione analoga viene riportata anche dagli studi che provengono dagli Stati Uniti, e confermata da un’inchiesta pubblicata da Angioplasty.org, comunità internazionale di cardiologi in rete. A questi dati allarmanti si associano quelli che indicano un aumento delle morti per arresto cardiaco, una condizione dovuta nella maggior parte dei casi a un infarto non trattato. Per esempio a New York dal 30 marzo al 5 aprile di quest’anno sono state registrate 1990 chiamate d’urgenza per arresto cardiaco, un numero 4 volte più alto rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e, soprattutto, associato a un tasso di mortalità 8 volte superiore.

“La paura di recarsi in ospedale è un problema mondiale – continua Bartorelli – che permane anche se i centri altamente specializzati o monospecialistici, come il Monzino, si sono da subito organizzati per proteggere i pazienti dall’infezione Covid. Noi, ad esempio, in quanto hub cardiologico abbiamo creato percorsi e aree separate Covid-free e siamo riusciti a contenere al minimo il contagio fra pazienti, mantenendo il massimo standard di cura. Probabilmente i pazienti non sono pienamente consapevoli di quanto è stato fatto per proteggerli e continuano ad essere intimoriti dalla pressione esercitata dal virus sul sistema ospedaliero nel suo insieme. Invece dovrebbe diffondersi la consapevolezza che i centri cardiologici d’eccellenza sono riusciti a mantenere gli standard delle cure salvavita per l’infarto, nonostante il Covid, ed è fondamentale che anche la gente mantenga comportamenti corretti, ma continui a fare attenzione ai sintomi cardiaci e ad accedere senza esitazione e paura all’ospedale, per farsi curare in tempo”.